L’otto dicembre tradizionalmente era il giorno in cui si preparava il presepe, si addobbava l’albero, si allestivano le case e i negozi. Si dava, per così dire, ufficialmente il benvenuto al periodo natalizio. Da un po’, invece, le prime luci lampeggianti e i primi addobbi di colore rosso/oro fanno capolino fin dal mese di novembre e cominciano a dare alle nostre città il tipico aspetto delle festività natalizie. Il desiderio di creare con progressivo anticipo questa suggestiva e incantevole atmosfera non sembrerebbe discendere da un ritrovato e accresciuto sentimento mistico-religioso, bensì da un ben più volgare e materiale senso degli affari che pervade la nostra società. Il ritmo degli affari consumistici, difatti, è scandito dalle cadenze più o meno regolarmente intervallate delle ricorrenze civili e religiose, con l’esclusione, forse, dei mesi estivi, considerati da questo punto di vista grosso modo come una sorta di lungo periodo festivo.
Natale, Capodanno, la Befana, San Valentino, Carnevale, Festa del papà, Pasqua, Festa della Mamma etc. sono tra gli appuntamenti consumistici che l’industria degli affari cavalca senza lesinare messaggi pubblicitari e spot di tendenza. L’importazione e l’affermazione di “Halloween” sono apparse indispensabili a spezzare il lungo digiuno di festività che va dalla fine dell’estate al periodo natalizio. L’esigenza però di colmare il lungo gap tra il 31 ottobre e il 25 dicembre, impone sempre di più di anticipare l’inizio del periodo degli acquisti natalizi, almeno fino a che non verrà importata, da quale altra tradizione estera, un’altra ricorrenza che appaghi la grande fame di affari consumistici. Il mero consumismo, si sa, non è certo un bene; ma la crisi economica che incombe e i sacrifici per far fronte ad essa rischiano di abbattere, più che il consumismo, i consumi delle famiglie; e questo certamente è un male.