«Il sousafono è il mio compagno di viaggio da quando ero ragazzino: facciamo in modo di far sopravvivere la musica colta al Sud», riferisce il bandista lucano Donato
“Scinn abbasc ca mo pass u Sant pa Band” (Scendi giù che ora passa il Santo con la Banda): per un italiano e, in particolar modo, per un lucano radicato al Sud, questa espressione risuona sempre più familiare durante lo svolgimento delle festività patronali e in occasione di altri momenti celebrativi che animano le piccole realtà del Meridione, in questo caso i territori della Basilicata. Nelle giornate di festa dedicate a un culto devozionale o a una cerimonia specifica, infatti, non può di certo mancare la Banda. Coloro che fanno parte di questo gruppo, vale a dire i bandisti o, meglio, i passaparola della tradizione, servendosi di strumenti a fiato o a percussione sono pronti a entrare nelle case di tutti, portando un po’ di quella che viene gentilmente definita “musica colta”. Un obiettivo, questo, che va avanti dagli albori delle formazioni bandistiche; un’arte popolare, ancora, che onora gli usi e i costumi di una comunità. I musicisti che fanno parte della Banda non solo condividono l’amore per la musica, ma anche per un determinato strumento che finisce per diventare parte integrante del percorso di crescita personale del bandista, quasi come se fosse un vero e proprio compagno di viaggio.
Lo sa bene Donato Andriulli, 32enne bernaldese. Attualmente insegnante di sostegno e potenziamento presso la Scuola Media Secondaria di 1° grado di Bernalda, Donato non ha mai interrotto il suo legame con il sousafono, cominciato quando lui era appena un ragazzino: «Il suono distinto e la forma singolare di quello che viene erroneamente confuso con il trombone, ma che in realtà fa riferimento a un altro strumento chiamato sousafono, sono stati i fattori scatenanti che mi hanno portato ad avvicinarmi al mondo della Banda e della musica. All’epoca, avevo solo 15 anni e l’idea di poter racimolare qualche spicciolo facendo semplicemente qualcosa che mi appassionava, in questo caso suonare quello strumento musicale, non mi dispiaceva affatto».
La primissima esperienza bandistica di Donato risale al 2008 con la Banda di Saviano (NA), poi diventata di Bracigliano (SA) su suggerimento del maestro Eletto di Montescaglioso: «In quell’occasione, presi il treno da Metaponto per arrivare a Battipaglia e, da lì, mi vennero a prendere per andare a suonare in provincia di Chieti. Fu abbastanza difficile perché non ero mai stato più giorni fuori casa, avevo solo 15 anni. Lì, dovevi gestire tutto in autonomia, soprattutto il cambio degli alloggi che, il più delle volte, erano quasi di fortuna».
«Nel corso dei due anni successivi (2009-2010), – aggiunge il bandista – ho fatto due stagioni complete con la Banda da Giro di Noicattaro, più nel dettaglio ben cento giorni per ciascun anno. Un’esperienza, mi preme dire, molto formativa perché, in primis, mi ha dato la possibilità di confrontarmi con gente nuova. In quell’occasione, ero un secondo strumento, vale a dire ero una sorta di spalla del primo strumento. Occorre sottolineare che nella Banda da Giro esiste una gerarchia degli strumenti, in quanto vi è una cassa armonica e vengono suonati brani di musica classica, in cui la difficoltà è nettamente diversa da quella di musica leggera. Stiamo parlando di Rossini, Puccini, Wagner che, senza dubbio, si discostano per esempio dai Pooh. Dal 2011 al 2015, ho suonato con le Bande di Montescaglioso, Mottola e Conversano. Nel 2011, ho fatto solo Banda locale; dal 2012 al 2015, invece, sempre Banda da Giro di Montescaglioso (circa 50-60 giornate). Il 2016 è stato il mio ultimo anno in servizio nelle Bande da Giro con la Banda di Squinzano, la storica Banda di interesse nazionale. Dopo il 2016, sono partito al Nord e ho collaborato solo con Bande locali. A oggi, sono tre anni che collaboro con la Banda locale “Boleto” di Nova Siri che suona sostanzialmente nelle zone del Pollino».
LA FIGURA DEL BANDISTA, TRA FORMAZIONE E TRADIZIONE
«Una classica giornata bandistica – fa sapere ancora Donato – segue, di solito, questa routine: si parte la mattina presto per cominciare il giro del paese. Ci sta, poi, il momento della processione. Dopo la pausa pranzo, ci si riposa fino alle ore 16/17 del pomeriggio. Si fa tutto in autonomia: basti pensare alla pausa pranzo dove si può provvedere per qualcosa a sacco o ci si serve di apposite cucine. Come nelle Bande da Giro, dove si collabora per la preparazione dei pasti e ci si divide la spesa. Occorre, ovviamente, fare una distinzione tra la Banda di paese e quella da Giro. Nella prima categoria, rientrano la Banda di Montalbano J.co, di Pisticci, di Ferrandina: si tratta di gruppi bandistici con un organico non selezionato. Ciò significa che potrebbe farci parte chiunque. Le Bande da Giro, invece, sono quelle che suonano per mestiere: tra queste, ci sono la Banda di Gioia del Colle, di Francavilla Fontana, di Lecce, di Conversano. In questo caso, rientrano persone selezionate, professionisti che provengono da tutte le parti del Sud».
L’esperienza bandistica raccontata da Donato dimostra quanto sia di fondamentale importanza la realtà della Banda: essa offre ai giovani la possibilità di impegnare il loro tempo libero in un’attività piacevole e ricca di stimoli che si concretizza nella musica d’insieme. Educare e dilettare si confermano, ancora oggi, due obiettivi fondamentali di questa Istituzione popolare. Chi fa parte di un gruppo bandistico matura, sinfonia dopo sinfonia, valori semplici e indissolubili che promuovono la cultura del noi, tra le memorie di ieri e i progressi di oggi per un domani armonico e melodioso.
A tal proposito il bandista lucano, qualche annetto fa, precisamente nel 2018, ha pubblicato assieme alla stretta collaborazione di Gregorio Maria Paone un libro dal titolo: “La banda come strumento formativo, educativo e sociale”, che sintetizza perfettamente la sua tesi di laurea in Scienze della Formazione Primaria. «All’interno del libro, – riferisce con orgoglio Donato – ci sono tutte le ragioni per cui si dovrebbe fare Banda: in primis, per evitare la devianza sociale, per realizzare una musica d’insieme, per stimolare l’aggregazione sociale, insomma per enfatizzare tutti quelli che sono i valori della musica vera, come mi piace definirla. Riconoscere l’importanza della Banda nelle piccole realtà lucane consente di non disperdere quella tradizione che si discosta dal resto d’Italia e dell’Europa. Al di fuori dei nostri confini, non esiste Banda strutturata come quella del Sud, con le marce sinfoniche, autentiche sinfonie in movimento, con un organico completo in grado di suonare su una cassa armonica pezzi d’opera completi, ciò che siamo abituati a vedere solo nei teatri. In Basilicata, l’unica Banda di serie A è quella di Montescaglioso che è ai livelli delle Bande pugliesi».
Nonostante la realtà bandistica abbondi di aspetti positivi che anche i meno intenditori di musica sarebbero in grado di ravvisare, c’è un tasto dolente che in tanti si pongono: la sopravvivenza della Banda nel tempo. «A mio avviso, – conclude Donato – il futuro della Banda dipenderà dalla cultura che andrà ad affermarsi in giro. Se la tradizione, anche nelle feste patronali, verrà trasformata, la Banda passerà in secondo piano. Rispetto a 30-40 anni fa, oggi con l’incursione dei social nella vita dei ragazzi e con la diffusione di una musica commerciale, i Comitati delle feste patronali saranno più propensi a spendere fior di quattrini per chiamare, ad esempio, il cantante del momento. I finanziamenti non mancano. Nonostante ciò, la Banda che attraversa tutto il paese, fa il servizio di orchestra, accompagna la processione, se è da Giro arriva a un compenso finale che varia dai 3mila ai 4mila euro da dividere, poi, per 40 persone, compreso solista, maestro e pullman; se è una Banda del posto, la retribuzione massima può arrivare alle mille euro. Insomma, il Comitato dovrà soddisfare le richieste della massa. Se la Banda proseguirà su questa scia, è ovvio che perderà di qualità e assisteremo al suo graduale declino. Sono in pochi coloro che accettano di fare anche una sola giornata e, molto spesso, vengono chiamati musicisti stranieri che non aderiscono più come prima. Negli anni 90, la paga di un bandista era di circa 100, 120mila lire, praticamente 60 euro di adesso, insomma una cifra onesta. A noi giovani, comunque, il compito di far sopravvivere la musica colta al Sud. Abbiamo ancora bisogno di buona musica per le nostre orecchie! La passione, senza dubbio, deve continuare a essere il motore che spinge i musicisti a suonare in Banda, a discapito di un esiguo compenso economico».
Miriam Galgano