La dodicesima edizione del Città delle 100 Scale festival è terminata in un momento complesso in cui la riflessione sul ruolo della cultura e le forme di resistenza dello spettacolo e delle arti performative è ancora centrale, soprattutto alla luce delle nuove restrizioni imposte dal Governo in tema di emergenza sanitaria e contrasto all’epidemia.
Il festival resta, per quanti vi partecipano, una certezza, una forma di resistenza, una piccola grande macchina in lavoro perenne, a cui contribuiscono decine di persone: collaboratori, artisti, professionisti dello spettacolo e, soprattutto, una comunità di appassionati e nuovi amici che hanno regalato anche quest’anno la fiducia e l’entusiasmo necessari ad andare avanti.
La dodicesima stagione del festival, letta attraverso i numeri, ha significato circa 2.000 presenze di pubblico, otto compagnie della scena italiana – da Davide Enia a Emma Dante, da Roberto Latini e Massimiliano Civica – e quattro arrivate da vari Paesi – tra tutte, il collettivo catalano Agrupacion e il drammaturgo uruguayano Sergio Blanco – per un totale di 22 spettacoli e quasi 90 repliche. E ancora la danza giovane e pluripremiata, come quella firmata da Davide Valrosso, Carlo Massari o da Paolo Girolami e i progetti musicali, affidati alla collaborazione preziosa di esperienze e realtà conosciute del territorio, come Violet Clouds, Lucio Corvino e Maurizio Inchingoli, l’associazione Musicland e la Lovelisco Liquid Band. In scena anche lo spettacolo “ION” del Collettivo Itaca, produzione lucana sostenuta dal festival.
Anche quest’anno il festival ha voluto attivare una profonda contaminazione con la città di Potenza, i suoi nuovi centri e le sue periferie. In questa scia hanno preso vita la performance “Lapsus urbano, il primo giorno possibile” di Kepler-
452 e lo straordinario progetto “A distance to the sun” con le coreografie di Francesca Penzo e Said Ait Elmoumen: un’indagine sullo spazio del rito a cui hanno collaborato gli studenti del liceo “Walter Gropius” e il progetto Appstart del Punto luce – Save the Children.
L’allestimento Meno, curato da Osa architettura e paesaggio e Volumezero architecture & landscape, ha dato forma, nel capannone Metaltecno di Tito Scalo, al tema individuato dalla direzione artistica del festival per l’edizione appena conclusa: assenza/presenza.
Azioni e iniziative cucite in un cartellone ristretto nei tempi a causa dell’emergenza sanitaria, che è soprattutto un lascito culturale alla città, insieme approdo e punto di partenza.
Ne è l’esempio più dirompente il progetto Temporaneamente, Bucaletto del collettivo Zimmerfrei e curato da Massimo Carozzi, un documentario in forma di mappa sonora che attraversa il quartiere Bucaletto di Potenza in una riflessione accessibile a tutti i cittadini su che cosa sia davvero rimasto del terremoto del 1980 nella Cittadella di prefabbricati.
In occasione del quarantennale del sisma del 23 novembre, il festival ha reso pubblico il documentario sonoro sul proprio sito: chiunque, con i tempi e i modi imposti dall’emergenza sanitaria, potrà vivere il racconto scaricando il file sullo smartphone e ascoltandolo seguendo la mappa collegata (anche questa disponibile sul sito).
«Abbiamo costruito intorno al festival – spiegano gli ideatori Francesco Scaringi e Giuseppe Biscaglia – una realtà di giovani di grande passione e competenza che ci fanno guardare con più fiducia al futuro. Nonostante le difficoltà e gli impedimenti siamo riusciti a trovare nuove dimensioni per il festival che hanno dato la possibilità al pubblico di superare il disagio del “distanziamento sociale” e di poter mettere gli artisti nella condizione di esprimersi al meglio. Con caparbietà abbiamo voluto organizzare il festival nonostante i problemi e anche qualche consiglio più egoistico che invitava a non rischiare. Sicuramente l’esperienza di questa edizione è importante, da essa svilupperemo alcune idee per il prossimo anno a partire dal coinvolgimento dei quartieri cittadini e la possibilità di usufruire di spazi altri rispetto al teatro».