Il 20 e il 21 settembre andremo a esprimere il nostro voto sul Referendum Costituzionale relativo al Taglio dei Parlamentari, quindi su una “correzione” apportata agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione. Il SI e il NO , al di là delle formule, qualcuna di rito, rivelano due diversi modi di misurarsi con la Costituzione uscita nel 1948 dai lavori avviati da una Consulta e, quindi, dal lavoro dei Costituenti eletti nella Costituente per lo scopo. Per i sostenitori del SI la Costituzione è inadeguata, da correggere, per adeguarla ai tempi dell’accelerazione ad oltranza. Per i sostenitori del NO quella del 1948 è ancora efficace, piuttosto da applicare, finalmente e con maggiore rigore e vigore.
Due modi di intendere la nostra Repubblica parlamentare, per quelli del SI ormai stanca, da sostituire con procedure semplificate dalla rete, veloci nel mettere in relazione la “gente”, in presa diretta, grazie allo strumento della comunicazione internazionale e interconnessa che rende inutile il Parlamento; o, secondo altri, da sostituire “semplicemente” con il Presidenzialismo capace di accelerare i processi legislativi, lungaggini, rimbalzi da una Camera all’altra, con l’evidente obiettivo che chi vince detta legge e leggi. Quelli del NO ritengono, invece, che la nostra Repubblica parlamentare è da migliorare, tra l’altro ridando voce ai cittadini e restituendo loro il diritto di esercitare il voto per scegliere i candidati indicati in liste non bloccate, lottando contro la corruzione e ristrutturando il sistema Paese con un riequilibrio a livello economico, sociale, lavorativo..
Io voterò No e ora voglio condividere con amici e lettori questo mio NO e per suggerire di fare altrettanto. Due ordini di motivi mi ispirano, l’uno complessivamente già indicato precedentemente, come dire, di carattere politico; l’altro più da massaia che confronta i prezzi, questa volta, i numeri con i quali, a proposito di questo referendum, siamo costretti a fare i conti.
Il taglio dei parlamentari è ventilato dai proponenti con la storia del risparmio di 1 miliardo di euro. Si tratta invece di 58 milioni che, se venissero a me sola o al signore che mi sta leggendo, sarebbero una cosa. Invece, corrispondono ad un caffe all’anno; rispetto ad un calcolo di spesa pubblica, costano 60 milioni i banchi per il nuovo anno scolastico, per il solo 17% degli studenti italiani; 59,4 milioni di euro i mono posto più tradizionali (Codacons). Lo 0,007 del bilancio dello Stato secondo gli stessi uffici studi del Parlamento. Il debito del nostro Paese viaggia verso i 900 miliardi (ma oggi, probabilmente si avvia a superare i 1000.
Leggo altri numeri. La Costituzione originariamente prevedeva un deputato ogni 80.000 abitanti, un senatore ogni 200.000. Attualmente abbiamo 630 deputati, uno ogni 96.000 abitanti: con il taglio a 400 deputati, uno ogni 151.000. Per il Senato, attualmente abbiamo 315 senatori, uno ogni 82.576; con il taglio sono previsti 200, uno ogni 302.420 abitanti.
In Basilicata da 6 deputati scendiamo a 4; da 7 senatori a 3. In base al previsto numero minimo, la Basilicata perde a vantaggio del Trentino.
Il terzo senatore, essendo i Lucani meno di 600.000, come sarebbe eletto?
Oggi 232 collegi uninominali e 63 plurinominali. Per il senato ci sono 116 uninominali, 33 plurinominali ( legge 51 del 2019 ha definito un criterio a scorrimento). A chi saremmo aggregati per raggiungere come numero di abitanti la possibilità del terzo? Che sarebbe candidato di quale pezzo di regione limitrofa? Il professore Massimo Villone, Presidente del Comitato per il NO, lancia una riflessione: “In ipotesi, affettando idealmente la regione piccola,(ndr la Basilicata, per esempio) e aggregandone ai fini del voto i pezzi a regioni maggiori. Funzionerebbe? Anche a non voler considerare le difficoltà e i costi di una campagna elettorale in mega-circoscrizioni, sarebbe comunque difficile per i territori aggiunti conquistare un proprio rappresentante”. La Basilicata corre il grave rischio, con il prevalere del SI, di perdere non solo un congruo numero di parlamentari, deputati e senatori, ma, ricca come è di risorse, di vedere il suo territorio preda di famelici, pronti a spartirsi le sue ricchezze naturali, senza che si possa esprimere alcun dissenso su progetti di accorpamento ad altri territori, o di trasformazione in discarica a cielo aperto. Non a caso, il taglio dei Parlamentari è l’altra faccia dell’Autonomia differenziata
Fare il confronto con altri Paesi che hanno sistemi politici ed elettorali diversi, non mostra che il numero dei nostri Parlamentari sia pletorico come si vuole far credere.
Piuttosto riflettiamo sul fatto che il nostro Parlamento lavora attraverso le Commissioni permanenti, quattordici alla Camera, quattordici al Senato cui vanno aggiunte le Giunte, le Commissioni speciali, quelle bicamerali. Ogni parlamentare deve partecipare a una delle commissioni permanenti che lavorano: in sede referente, votando emendamenti e testi e portando il testo finale alla discussione in Aula; in sede redigente, votando gli emendamenti e lasciando all’Aula solo il voto dei singoli articoli e quello finale; in sede legislativa, potendo licenziare la legge senza passare dall’Aula. Riducendo il numero dei parlamentari, si consegna nelle mani di pochi, dei più forti partiti, poteri enormi, compreso quello della legislazione diretta Oppure, riducendo il numero delle Commissioni viene meno il principio della competenza delle singole commissioni.
Per conseguenza di questi numeri e da una lettura logico-analitica degli stessi, torno alla questione politica. Abbiamo a che fare con un nuovo tentativo di deforma costituzionale, che vuole riproporre nuovamente di correre verso il presidenzialismo, magari rinforzato dall’uomo forte di turno. Dobbiamo evitare che la democrazia parlamentare venga messa in soffitta, evitare che i cittadini e i territori perdano ulteriormente la possibilità di esprimere i loro rappresentanti, già ridotta dalla impossibilità di esprimere le preferenze. Il problema è che i Parlamentari sono nominati; su questo bisogna fare le correzioni, non sul numero. Votiamo NO perché la politica e la stessa democrazia non sono un costo ma uno strumento essenziale per la collettività nazionale. Il Taglio dei Parlamentari taglia la rappresentatività, riduce il Parlamento da cardine della democrazia a strumento in mano ai potentati che fanno e disfano i governi, cioè ai maestri della cattiva politica. Votiamo no per difendere il ruolo essenziale del parlamento come limite e controllo alle pretese del potere; e perché l’esercizio della riflessione e del dibattito produce leggi migliori.
Non è un voto per dispetto al governo, né per farlo cadere, né per far cadere segretari di partito, né per sostenere le ambizioni di qualche giocoliere, già noto per simili imprese, pronto a proporsi come sostituto. E’ un voto per il Parlamento.