Infrastrutture è solo un miraggio. Non è solo l’emergenza Coronavirus, ma una crisi strutturale quella che da dieci anni ormai ha investito il comparto delle costruzioni e che, nell’ultimo quinquennio, ha determinato il fallimento di oltre 120.000 imprese e la perdita di oltre 600.000 posti di lavoro.
Basti pensare che fino al 2000 l’incidenza del settore edile nella formazione del PIL era del 14 %; oggi siamo scesi a meno della metà , con valori che si attestano fra il 6 ed il 7 %.
Nel settore dei lavori pubblici è talmente grave l’emergenza che non ha più senso ricercare responsabili.
Sono anni ormai che denunciamo, invano, la farraginosità delle procedure e l’ ipertrofia della burocrazia che hanno determinato la profonda ed irreversibile crisi di questo comparto, considerato da sempre il motore della crescita del Paese.
Se si ferma l’edilizia è un intero sistema che va in blocco: è un cortocircuito economico che coinvolge tutte le filiere ad esso collegate.
Per evitare il definitivo crollo del settore non c’è più tempo: è necessario individuare immediatamente interlocutori credibili che non utilizzino la tattica del rinvio come modalità di risoluzione di interessi politici contrapposti.
Ancor più oggi, il riavvio delle attività dopo lo stop dovuto al lockdown, richiede scelte coraggiose e tempestive che, al momento, non sembrano essere una priorità nell’agenda del Governo.
Il Decreto Rilancio, infatti, appare l’ennesimo zibaldone, un insieme di norme che rendono ancora più complicata la ripresa delle opere pubbliche.
E’ ormai evidente la miopia di un disegno di rilancio del Paese che passa per il sussidio e non per il lavoro, dove i temi delle infrastrutture e delle manutenzioni, sventolati come chiavi di volta della ripresa, sono state solo parole abusate senza un ritorno concreto.
I primi provvedimenti emanati in piena pandemia, quali il Decreto Cura Italia e il Decreto liquidità, rispondevano ad una logica specifica: dare una prima, immediata risposta alle criticità socio economiche create dall’ emergenza, ma ci aspettavamo un cambio di passo già a partire dalla fase due.
Ci attendevamo, infatti, una visione prospettica di più lungo periodo da tradurre in un testo di legge che , finalmente, affrontasse in maniera concreta i temi dello sviluppo e degli investimenti.
Speravamo che fosse questa l’occasione giusta per sciogliere, una volta per tutte, il “nodo” burocrazia mettendo mano alle semplificazioni; ci troviamo, invece, davanti ad un testo di circa 250 articoli e circa 500 pagine, quasi pari al numero di parole dei Promessi Sposi (circa 200.000).
Non ci sembra ci siano al momento in agenda misure concrete, neppure per quanto riguarda l’auspicata modernizzazione della Pubblica Amministrazione, finalizzata a rendere i servizi più efficaci ed efficienti anche mediante il ricorso allo smart working e alla digitalizzazione.
Servono, in questo particolare, delicato momento, interlocutori credibili che, superando la logica degli interessi di parte, perseguano esclusivamente il bene del Paese e si adoperino concretamente per superare questa grave situazione di impasse.
Ad esempio, le risorse finanziarie disponibili pari a 12-14 miliardi l’anno, sono state fino ad oggi impegnate per finalità assistenzialistiche e non, come sarebbe stato più opportuno, per investimenti in infrastrutture: anche queste scelte poco felici hanno contribuito a determinare il crollo del settore delle costruzioni.
Per non parlare poi delle opere bloccate nonostante tutti i pareri autorizzativi e la totale copertura finanziaria; è questo il momento in cui ci aspettiamo dal Governo un’ azione incisiva per farle partire, insieme alle opere di manutenzione, di messa in sicurezza del territorio e di riqualificazione delle città, ritenute da tutti indispensabili.
Non possiamo continuare ad agognare l’adozione di provvidenze statali o inseguire le chimere dell’Unione europea senza disporre di certezze finanziarie che ci possano consentire di avviare nel breve periodo l’apertura dei cantieri, garantendo al contempo le necessarie condizioni di sicurezza dei lavoratori.
La politica dei proclami non basta più : uno Stato che annuncia risorse per 55 miliardi, per poi scoprire che dispone per il 2020 di poco più di un miliardo di euro; una Unione Europea che assicura lo stanziamento per l’Italia 172 miliardi di euro che, forse , saranno disponibili solo alla fine del 2021!
Non si può continuare con slogan o provvedimenti spot: occorrono interventi concreti di medio lungo termine per garantire la ripartenza del nostro sistema produttivo e, soprattutto, per contrastare la pesante situazione socio economica che l’emergenza coronavirus ha reso ancora più grave.
Le imprese edili sono allo stremo: occorre fare presto e bene per evitare la decrescita irreversibile di tutta l’economia del nostro splendido Paese.