Michele Carlucci definito come: «Uno dei più grandi Maestri di Enologia Italiana» , è stato un illustre enologo e viticoltore di fine 800 e inizio 900.
Nato a Ruoti l’otto novembre del 1856, in un territorio dominato dall’agricoltura e da un clima montano, caratteristiche che hanno certamente influito sul suo interesse verso gli aspetti naturali. Difatti per potersi dedicare agli studi agrari, il Carlucci lascia Ruoti e si reca a Portici, dove consegue la laurea in Scienze Agrarie.
Ben presto emergono le sue qualità di studioso e insegnante che gli valgono la direzione della Scuola di Viticoltura e di Enologia di Avellino, la quale diventa il centro più importante di studi e ricerche vitivinicole dell’Italia meridionale. Ma, ciò che ha reso la figura di Michele Carlucci un riferimento nel settore vinicolo, è stato il suo grande impegno nelle ricerche sperimentali biologiche e tecniche per la coltura della vite, sui mosti concentrati, sui vini spumanti e sull’ampelografia. È stato anche tra i primi italiani a interessarsi alla ricostituzione dei vigneti filosserati (dopo l’invasione della filossera nella seconda metà del XVIX secolo) apparsi man mano, qua e là, in tutte le regioni italiane.
Grazie alla sua esperienza e al legame verso il suo paese di origine, decide insieme ai fratelli di coltivare un vigneto proprio a Ruoti. Il vitigno scelto è l’Asprinio Bianco, le sue antichissime origini lo identificano come autoctono del casertano (in particolare ad Aversa il cui Asprinio ha ottenuto la Denominazione di Origine Controllata): sulla sua provenienza si sono formulate molte ipotesi, quella più accreditata è sulla domesticazione da parte degli Etruschi di viti selvatiche già presenti nella zona, con il metodo delle viti “maritate” secondo cui queste sono appoggiate agli alberi, in genere olmi o pioppi. Una seconda ipotesi fa risalire l’Asprinio all’epoca angioina, quando Louis Pierrefeu cantiniere di corte di Roberto d’Angiò, individuò nei declivi vicino Aversa il suolo ideale per impiantare le viti che assicurassero alla corte angioina una riserva ricca di spumanti. Importato da parecchi anni in Basilicata, l’Asprinio si è diffuso specialmente sulle zone montane del territorio potentino e in particolar modo a Ruoti, dove le caratteristiche ambientali poco si differenziano da quello casertano. La pianta si presenta con foglia grande e penta lobata, pagina superiore glabra di colore verde chiaro; i grappoli sono grandi, di forma piramidale con acini grossi, leggermente ovoidali con buccia gialla verdastra e la maturazione è tra settembre e i primi di ottobre.
Si attesta che alla Mostra Enologica tenuta a Potenza nel 1887, i fratelli Carlucci furono gli unici di Ruoti a concorrere per le uve bianche da pasto con appunto l’Asprinio, il quale fu giudicato dal professor Vincenzo Loporchio: «interessante per le scelte prerogative insite nella qualità del suo prodotto, (…) rappresenta un ottimo vitigno complementare».
In effetti, l’Asprinio coltivato in giusta misura a fianco dell’Aglianico, del Colatamurro e del Sangioveto ha dato luogo alla produzione di un vino chiamato appunto vino di “Ruoti”, che ben presto si attesta nell’ambiente come: «piacevoli vini da pasto sono prodotti a Ruoti di cui è reputatissimo l’Asprinio». Dall’archivio RAI – redazione di Potenza, nel servizio curato dal giornalista Franco Corrado, si legge: «quando si parla dei vini lucani, il riferimento va quasi esclusivamente all’aglianico, (.) ma se si va a Ruoti, la fama dell’aglianico viene messa un tantino in discussione, (.) Ruoti è famosa sia per i vini rossi da pasto che per i vini bianchi, di cui molto famoso era l’Asprinio»; e ancora: «il vino di Ruoti è il più perfetto vino da pasto della Basilicata».
L’Asprinio il cui nome rimanda alla struttura e alla peculiare acidità che lo rende appunto aspro, ben si adatta al profilo di un territorio e di una comunità il cui duro lavoro nei campi era espressione di un tempo che non c’è più, così come il vitigno stesso, il quale oggi è a rischio estinzione.