Il Surrealismo, La Dolce vita, la Memoria dei luoghi. Tre mostre un unico comune denominatore: Ruoti, un paese che scopre e riscopre i suoi talenti artistici.
A inaugurare il percorso espositivo organizzato dall’Associazione Recupero Tradizioni Ruotesi con il patrocinio morale del Comune di Ruoti e che sarà aperto fino al 18 agosto, un convegno con gli interventi degli artisti “in mostra” (Sinisgalli, Barillari, Salinardi e Mancino) e dello storico dell’Arte Merisabell Calitri.
È una mostra che va guardata due volte: la prima per le opere, la seconda per le cantine che le accolgono. Tra le più antiche di Ruoti, una su tutte quella del palazzo Salinardi risalente al settecento, sono luoghi assolutamente suggestivi per ciò che rappresentano: il tufo, le botti, gli arnesi, ma, soprattutto, per ciò che rievocano.
L’esposizione si apre con la collezione di Luigi Sinisgalli, dal titolo “Le finestre dell’anima”. Pittore ruotese, attivo dal 1991, il suo è un surrealismo figurativo intimale. Le sue opere manifestano la dicotomia realtà / ES; l’anima che trascende la quotidianità, che supera la realtà, che cerca la verità delle cose, l’autenticità. I suoi quadri scuotono, per i colori, per le forme, per gli accostamenti, spingono la mente a porsi delle domande, a riflettere.
La seconda cantina ospita gli scatti del re dei paparazzi Rino Barillari, dal titolo “Io Barillari nasco grazie ad Angiolillo”. È lui che ha immortalato il jet set internazionale, raccontando un’epoca tutta italiana: quella che Fellini definì la Dolce vita. Il suo è stato un omaggio al senatore Renato Angiolillo, originario di Ruoti, politico, giornalista e fondatore del quotidiano Il Tempo. Barillari presente all’apertura della mostra, ha voluto evidenziare il suo legame con l’illustre concittadino, ma anche il suo attaccamento verso Ruoti.
Il terzo allestimento è “La pittura incontra la fotografia” a cura di due architetti ruotesi: Giuseppina Salinardi e Sara Mancino. È un connubio perfetto dove la reminiscenza malinconica dei luoghi scattati da Giuseppina Salinardi, s’intrecciano in un moto di speranza e di auspicio dato dalla pittura di Sara Mancino. Se le porte, i ponti, il filo spinato sono gli scatti di una realtà chiusa e finita; la loro trasposizione in pittura genera libertà e futuro. Una seconda esposizione privata di Sara Mancino ha come tema gli Alveari, lei stessa ci ha spiegato come nasce questa sua passione e il significato che ne ha dato.
Com’è nata la tua passione per le api?
Tutto è cominciato mentre stavo preparando la mia tesi in architettura (2008). Ho conosciuto un’egittologa di Napoli e quindi sono stata al museo archeologico di Napoli per fare degli studi legati alla mia tesi che trattava la ricostruzione multimediale di un teatro a Villa Adriana a Tivoli. Ho cominciato a interessarmi e a leggere cose riguardanti la cultura egizia, ed ho scoperto l’ape. L’ape era intesa come una divinità, mi ha colpito il significato di ape come messaggera tra la divinità e l’uomo. Quasi una sorta di collegamento, di ponte tra l’aldilà e la terra.
Nel 2008 ho cominciato a dipingere i primi alveari, trattasi di due quadri dal titolo “La metamorfosi dell’alveare”. A sinistra si vede bene l’alveare come sede dolce dell’ape, poi si trasforma in un elemento architettonico e diventa una rete attraverso la quale si inizia a vedere il cielo. La lettura dei quadri va fatta insieme, perché a sinistra l’alveare è il simbolo della nascita, mentre a destra è metafora dell’aldilà.
Quindi metamorfosi dell’alveare come metamorfosi della vita. Sulla scia di questi due primi quadri sono nate tutte le altre opere.
Alveare come chiave di lettura o come risposta alle domande che ti poni?
Come chiave di lettura, perché l’ape è l’uomo e l’alveare è la società. Difatti il quadro che ritrae lo skyline della città notturna, legato all’architettura per gli elementi ad alveare non più intese come struttura, ma come simbolo della casa, del costruire, dell’attraversamento. L’ape non dorme, continua la sua attività seppur rallentata anche di notte, così come la città.
Il tuo auspicio è che l’uomo assomigli all’ape?
Sì, o meglio l’uomo deve prendere spunto dall’ape. L’alveare ha una certa armonia nella sua forma, cercare magari di costruire e di realizzare delle cose rispettando l’ambiente.
Guardando l’ultimo quadro della tua esposizione, in controluce si notano delle parole in rilievo. Qual è il riferimento?
Il riferimento è alle Città invisibili di Italo Calvino. Il titolo del quadro è invece Le città visibili. Nel libro sono descritte delle città immaginarie, New York queste città metropolitane, questi alveari metropolitani sono invece a noi visibili, ho voluto fare questo parallelismo. Sull’opera ho volutamente citato un passaggio del testo.
Passando alla collezione “La pittura incontra la fotografia” com’è nata la collaborazione con Giuseppina Salinardi?
Entrambe siamo architetti originarie di Ruoti, abbiamo voluto omaggiare il nostro paese unendo le nostre passioni come a rafforzare sia la fotografia sia la pittura. Sono quasi il prolungamento l’una dell’altra, i tuoi quadri sono la continuazione di un racconto cominciato con gli scatti che infondono positività. Sì, è così quando ho ricevuto le fotografie di Giuseppina, sono stata colpita dalla malinconia, infatti, il titolo che ho dato alle opere, è “La malinconia del ricordo”, ma voglio che questo ricordo sia positivo ecco perché il cielo è dorato, gli accessi sono dorati.
Perché il dorato?
L’oro rappresenta il ricordo prezioso, è il filo conduttore che lega tutte le opere. L’arte apre la speranza a una certa realtà fotografata.
L’ultima domanda riguarda la decisione di togliere lo studio dell’arte nel percorso formativo scolastico. Cosa ne pensi?
È impensabile. L’arte deve essere valorizzata, soprattutto a scuola, perché le arti “abitano” i bambini, è il loro modo di esprimere le emozioni. Togliere l’arte è come togliere l’emotività.
Questo filone culturale proseguirà con altre quattro mostre che saranno ospitate il prossimo 11 agosto, in concomitanza con la giornata di Ruoti, Capitale della Cultura per un giorno.