La sede dell’Aula Magna dell’Università Degli Studi Della Basilicata è stata protagonista nel mese di Novembre di una conferenza dal titolo “ Ambiente, Petrolio e Sviluppo ˮ che come si può in parte evincere dal titolo stesso dato all’incontro è stata un’occasione per discutere pubblicamente delle problematiche legate alla gestione dei pozzi petroliferi in Basilicata, in particolare della possibilità di fare dell’oro nero un autentico volano di sviluppo e crescita economico-sociale del territorio lucano.Tra coloro che hanno preso parte al dibattito, il Vice Presidente nazionale di Legambiente Edoardo Zanchini, l’assessore regionale all’Ambiente Aldo Berlinguer e il Presidente dei Giovani di Confindustria Basilicata, Francesco D’Alema, oggetto di una triplice intervista.
A seguire un’anticipazione del punto di vista di D’Alema :
Presidente D’Alema, molti vedono nel petrolio un possibile volano di sviluppo economico per la nostra regione. Si sbaglia a puntare così tanto sul settore petrolifero, o detto diversamente, la Basilicata allo stato attuale è solo petrolio ?
L’Oli e Gas è uno dei settori trainanti di questa regione e dell’intera nazione. Come sappiamo sulla terraferma il sito di maggiore estrazione e produzione di greggio attualmente è in Basilicata, ed in particolar modo nella concessione Val D’agri, gestito da Eni, con i suoi 80/85 mila barili estratti quotidianamente e con l’imminente attivazione della quinta linea, si potrà raggiungere il picco massimo autorizzato secondo gli accordi datati 1998 e l’ultimo risalente al 2012/2013, che prevede un tetto massimo di 104 mila. In prospettiva a questi si aggiungono i 50/54 barili che invece verrano dalla concessione Tempa Rossa, di cui le 2 Oil Company sono Eni e Total. In termini relativi questi dati ci dicono che l’80% di gregge estratto in Italia deriva e deriverà dalla nostra regione, a cui va aggiunto il contributo derivante dalla Sicilia e dalla parte adriatica del paese, dove prevalentemente si estrae gas in modalità off-shore. La Basilicata è dunque il lampo energetico dell’intero paese. Il petrolio è una risorsa naturale, come acqua o vento, che al netto della specifica localizzazione geografica è di tutti, coinvolge tutti e può essere usata da tutti, al di là del dibattito dualista tra statalismo e federalismo, che sempre più interessa le comunità locali sulla possibilità di poter concepire il petrolio una risorsa nazionale piuttosto che locale o viceversa. Mi viene come esempio lo sviluppo infrastrutturale che il paese ha conosciuto a partire dagli anni sessanta; se all’epoca si fosse fatto l’errore di dire che ogni regione è proprietario del proprio territorio e non lo mette a disposizione di tutti, noi non avremmo avuto l’autostrada del sole e altre infrastrutture che permettono di spostarsi da una estremità all’altra dell’Italia, da Milano a Reggio Calabria. Questo sarebbe avvenuto se qualche comunità locale si fosse opposto alla possibilità di far passare sul proprio territorio un’arteria così importante perché ciò avrebbe comportato l’abbattimento di qualche monte o collina. Detto ciò si tenga presente il deficit energetico che caratterizza l’Italia e che è pari a circa il 90% e che di quello scarso 10% che il paese produce a livello energetico l’80% viene dalla Basilicata, l’equazione è praticamente fatta. L’energia dunque deve essere un valore da tutelare, da non distruggere, e per far ciò occorre mettere a sistema il settore industriale con vocazione Oli e Gas, con altri comparti industriali e produttivi della nostra regione: il comparto dell’agroalimentare, basti pensare all’area del Metapontino, in cui si produce, tanto per fare un esempio la fragola candonga, una tipologia di fragola apprezzata anche all’estero e di cui la Basilicata è la prima regione produttrice nel nostro paese. Vi è poi l’area del Vulture-Melfese particolarmente vocata alla produzione di vino e altre aree che producono alimenti autoctoni presenti anche sul mercato internazionale, quali i peperoni cruschi di Senise. Un’altra gamba importante è quella dell’ automotive, in particolare a Melfi, dove si è generato nel tempo un indotto imprenditoriale con aziende di alta specializzazione in ambito metalmeccanico e che ha generato molti posti di lavoro. Infine vi è il comparto turistico, che pur essendo sempre stato importante, sino al 17 Ottobre scorso probabilmente non aveva ricevuto il giusto apprezzamento e riconoscimento; Matera Capitale della Cultura 2019 ha sicuramente scoperchiato il vaso di pandora e rilanciato l’intero settore. Dunque, la nostra vocazione territoriale è sintetizzabile in queste quattro grandi macro-direttrici, quattro strade maestre che si possono e si devono percorrere attraverso un’opportuna integrazione.
In che modo a suo parere è possibile percorrere simultaneamente le strade da lei indicate per un reale sviluppo socio-economico della Basilicata?
L’integrazione e la coesione tra i comparti è possibile e a mio avviso necessaria. Se noi immaginassimo che l’Oli e Gas produce un qualche valore negativo per la nostra regione, dal punto di vista ambientale e di sicurezza per la salute dei nostri cittadini a quello riferito al contesto lavorativo e alle ricadute economiche ed occupazionali legate al petrolio, non faremmo altro che distruggere anche gli altri comparti sopracitati. Analogamente sarebbe un’illusione immaginare che soltanto con un singolo comparto, che sia quello agroalimentare piuttosto che quello turistico, noi saremmo in grado di rovesciare le sorti economiche della Basilicata, creando valore e benessere. Pertanto, occorre trasmettere un messaggio ed un approccio di tipo diverso, vale a dire che il settore dell’Oli e Gas è un settore importante tanto quanto lo sono gli altri comparti presi singolarmente, e solo facendo coesistere i vari settori è possibile immaginare di rendere concreto lo sviluppo imprenditoriale regionale. Anche perché diffondere un messaggio negativo basato sul malessere e l’inquinamento generato dal primo comparto avrebbe effetti negativi a cascata sugli altri comparti produttivi. Serve quindi sul tema dell’Oli e Gas fare un’operazione verità, ed esplicitare effettivamente cosa va e cosa non va e deve essere necessariamente cambiato, affinché divenga un settore autoreferenziale che non confligge con altri interessi.
Cosa ne pensa degli attuali limiti di barili estraibili al giorno e all’annullamento di trivelle esplorative nei comuni lucani interessati dalla presenza di giacimenti petroliferi?
Gli accordi in vigore sulle attività esplorative ed investigative prevedono un tetto massimo di 104 mila barili, ma al di là dei numeri effettivi attuali e di quelli che deriverebbero da un eventuale spostamento di soglia con conseguente incremento degli stessi numeri, è preferibile capire se sia necessario o meno ampliare gli strumenti di verifica e controllo per tranquillizzare i cittadini, e solo accertato ciò procedere eventualmente, sulla base di opportune politiche industriali, con nuovi investimenti. Attualmente sono 3500 le unità lavorative occupate nel comparto, ed è ovvio che un aumento o una riduzione dei posti di lavoro dipende quindi da un innalzamento o abbassamento dei livelli di produzione industriale da un lato e di investimenti dall’altro.
Nel convegno su petrolio, ambiente e sviluppo il Presidente di Nomisma Energia Davide Tabarelli, ha dichiarato che non è corretto dare royalties compensative, ad esempio sotto forma di bonus carburanti per i patentati, ai territori in cui viene estratto il petrolio, essendo un bene naturale per così dire nazionale. La sua opinione al riguardo?
E’ un tema fortemente sentito in primis dalle comunità locali. E’ bene a mio avviso non dimenticare che si tratta di risorse nazionali, ma trovo giusto riconoscere che chi vive e chi opera sul territorio lucano, dove il petrolio è estratto, abbia un vantaggio competitivo, in termini ambientali ed economici. Interessante in tal senso è la proposta di avvantaggiare fiscalmente mediante una riduzione del prezzo versato per i consumi energetici, i territori estrattivi come la nostra regione, e lanciata recentemente dall’Assessore regionale all’Ambiente Aldo Berlinguer. E’ una proposta che Confindustria ha subito ritenuto consona, perché crea un vantaggio competitivo per imprese e famiglie lucane che così pagherebbero di meno gas e petrolio, pagando in definitiva lo stesso prezzo di chi gestisce le pompe di fornitura dei prodotti energetici. Come coprire quel beneficio fiscale eventualmente spettante agli abitanti lucani? E’ una questione che esula dal nostro ruolo e che spetterebbe risolvere a chi è preposto al reperimento delle risorse, ossia la politica. Si parlava di una misura il cui valore economico si attesta attorno ai 70/80 milioni di euro, e che si attuerebbe sotto forma di royalties o altre tipologie compensative.
Cosa risponde a chi, come il vice Presidente di Legambiente Edoardo Zanchini, contesta una significativa crescita occupazionale in Basilicata legata al petrolio, ritenendo in sostanza che manchi una reale pianificazione di sviluppo economico del territorio lucano?
In Basilicata l’indotto Eni in Basilicata genera nell’area della Val D’Agri, oltre 3500 unità lavorative, tra diretti ed indiretti e nel 2017 tale dato con la concessione Tempa Rossa dovrebbe aumentare. Numeri asettici e apparentemente non entusiasmanti in quanto se li poniamo sulla bilancia e li raffrontiamo ai 5 mila lavoratori della Sata di Melfi, ne deduciamo che vale di più il secondo indotto rispetto al primo. Detto ciò va chiarito che il comparto Oli e Gas è un’industria radicalmente diversa e quindi occorre approfondire questo punto. Tale settore ha una vita utile di 40/45 anni, nel senso che le concessioni si valorizzano non prima che trascorri questo arco temporale, in termini di riserve di tonnellate di petrolio da estrarre, e non è pertanto paragonabile alle logiche produttive del comparto industriale del Vulture, un impianto produttivo che può conoscere come molti altre industrie dei cambiamenti repentini ( fino a 2 anni fa si era avviata verso la strada della cassa integrazione in 3 turni, oggi invece ci sono nuove assunzioni ).
Quindi la lettura dei dati occupazionali vanno letti in modo approfondito che rilasciano un diverso valore. La pianificazione strategica pertanto acquista senso nel momento in cui si decide e si è consapevoli di cosa uno vuol diventare nel futuro. Dico sempre che vi è un modello ravennate ed uno lucano.
Ad esempio a Ravenna, si sviluppava sino a qualche anno fa, prima che anche il comparto chimico entrasse in crisi, il settore Oli e Gas, ed entrato in crisi la produzione offshore di gas, si è puntati sul settore dell’agroalimentare, del turismo e su quello delle attività culturali, sviluppando anche le altre vocazioni territoriali. In Basilicata quello che manca è proprio una pianificazione strategica, che ravviso personalmente nello sviluppo sinergico dei settori che esprimono le vocazioni del nostro territorio. In altre parole dovremmo chiederci cosa vogliamo e quali sono le nostre vocazioni o i settori in cui primeggiamo? Lo siamo indubbiamente nell’estrazione di risorse minerarie, e potremmo esserlo in ambito turistico o ancora meccanico. Partire quindi da qui per individuare una ricetta che consenta lo sviluppo del territorio.
Per concludere, come conciliare petrolio, ambiente e sviluppo, e dunque fare del petrolio uno strumento di crescita economica del territorio che sia al contempo compatibile con le politiche di tutela dell’ambiente e della sicurezza per la salute dei cittadini lucani?
La soluzione è legata ad uno sviluppo sostenibile, ossia una co-esistenza di più attività non confliggenti e tra cui sussistano rapporti di compartecipazione reciproca. Se la Basilicata oggi rappresenta il 10% delle fonti energetiche nazionali, può partendo da questo mettere in campo delle attività che sviluppino il turismo, e sviluppando il turismo ho il “ carburante ˮ per sviluppare il comparto agroalimentare.
Nello stesso tempo la messa in comune può costituire la base per sviluppare il comparto meccanico e altri settori autoctoni. In questa idea di sviluppo sinergico risiede a mio avviso la chiave per conciliare il concetto di sviluppo a quello di sostenibilità.