Era la vendita fuori dalla propria terra di prodotti ortofrutticoli di prima fioritura, coltivati dagli ortolani di S. Arcangelo, paese a clima più mite, nei paesi di montagna limitrofi.
La cura nella coltura faceva sì che le primizie, sia per la precocità che per l’aspetto, fossero molto apprezzate dai compratori dei paesi dove il contadino si recava a venderle solitamente al termine della primavera. Quando i prodotti degli orti erano pronti per essere venduti (pomodori,peperoni,melanzane,fagiolini e poi la frutta: pere, ciliegie, nespole, percoche) il contadino ortolano, aiutato dalla moglie e dal figlio,raccoglieva una salma(quantità di prodotto che poteva trasportare un mulo o un asino maschio) e partiva per i paesi vicini. L’ora della partenza era in relazione alla distanza da percorrere e in modo che si giungesse nel paese di destinazione alle prime luci dell’alba. Si caricava il quadrupede di tutto punto con due sportoni colmi di prodotti ed un sacco di iuta, anche esso colmo, che veniva posto al centro dell’imbasto.
Mi racconta Andrea Curletane che, dopo una giornata di lavoro, la stanchezza era tanta che attaccato alla coda del mulo poteva percorrere chilometri quasi in dormiveglia. Alcune volte, quando il mulo, che conosceva bene la strada, entrava nel fiume, il conducente addormentato, attaccato alla coda, si svegliava solo quando era immerso fino al ginocchio e l’acqua gelida lo svegliava. Se i paesi erano molto distanti (12-15 ore di cammino), in compagnia di altri che percorrevano lo stesso tragitto ci si fermava lungo il percorso presso edifici per lo più abbandonati, dove far riposare il mulo e farlo dissetare. Il contadino scaricava del peso l’animale(aiutato dal compagno) e gli dava da mangiare l’avena, che in un piccolo sacchetto aveva portato dal paese.
Vi erano paesi come Castelluccio Inferiore e Laurenzana che, oltre per la lontananza(12/14 ore di cammino), erano difficili da raggiungere per le strade impervie da percorrere. Dopo decine di ore di cammino, giungeva in questi paesi nel primo pomeriggio e, durante le poche ore di luce che residuavano, iniziava a vendere il prodotto, ma al sopravvenire delle tenebre si rifugiava nella taverna del paese, dove l’acqua e la paglia erano gratis per l’animale così come un giaciglio di paglia per il conduttore. All’animale dopo una ricca bevuta somministrava parte dei 15 Kg di biada che aveva portato dal paese ed egli stesso mangiava quel poco di pane e qualche sandracca o sarda salata ( che all’inizio del pasto leccava solo con la lingua per farla durare di più) posti nel tascapane insiene al contenitore di legno con un pò di vino, u iascarielle; qualche volta andava alla cantina a mangiare.