Suor Cherubina Lorusso, 67 anni, originaria di Avigliano (PZ), appartenente all’ordine delle Suore Missionarie Catechiste del Sacro Cuore, il 14 febbraio 1990 parte per l’America Latina, direzione Cile, dove ha inizio la sua missione tra i più deboli, tra i più bisognosi, tra i più dimenticati. Giunge nelle periferie di Santiago del Cile, nella zona “San Giuseppe della Stella”, tra i poveri e tra i senzatetto, che con il governo di Pinochet avevano avuto delle baracche, e lì vi rimane per 5 anni. Dopo di che – ci racconta – parte per il Brasile, in un grande centro, che si chiama “il Regno dei ragazzi”: lì è responsabile dei settore dei ragazzi da 0 a 5 anni. Nell’aprile del 2001, inizia, invece, la sua missione in Bolivia, sulle Ante Boliviane, a circa 3600 metri, nella popolazione di Vacas, a 100 km dalla città di Cochabamba, dove tutt’oggi vive.
In cosa consiste la vostra missione lì?
Lì la gente, sebbene cattolica, non conosceva suore, per cui, per sei anni, abbiamo evangelizzato porta a porta, nella parrocchia e nelle frazioni; non avevamo una struttura, ma stavamo in parrocchia, dove i bambini accorrevano per mangiare e noi ne approfittavamo per catechizzarli. Prima che arrivassimo noi, avevano assistenza religiosa saltuaria e nessun parroco voleva rimanere in quei territori, perché è una parrocchia molto povera. Da allora sono passati sei anni, e grazie agli aiuti di una parrocchia del nord Italia, San Pietro al Natisone, in provincia di Udine, abbiamo potuto formalizzare la nostra opera, costruendo un centro infantile, dove lavoriamo con i bambini da 3 mesi a 5 anni, nell’area dell’ istruzione, della salute, dell’ igiene, dell’ alimentazione, della protezione e dei lavori sociali, secondo i programmi dell’Unicef, e a fine mese diamo una relazione alla Prefettura. In pochi anni, grazie alla struttura e grazie al modo di lavorare, siamo oggi il miglior centro infantile della regione di Cochabamba, per cui ci hanno chiesto di portare la nostra pedagogia agli altri centri infantili, ma non avendo personale a sufficienza, né tempo, abbiamo chiesto di venire a fare formazione da noi. Lavoriamo, formalmente da tre anni, anche con i disabili, che sono le persone più dimenticate da tutti, perché sono “la vergogna delle famiglie” e nessuno vuole lavorare con loro, per cui soffrono fame, mancanza di medicine, indifferenza e abbandono; a tutto questo si aggiunge la pastorale nelle parrocchie, con il catechismo, i sacramenti…
In quelle terre, solo con l’evangelizzazione non raggiungi le persone, bisogna associarvi anche gli aiuti umanitari; quando facciamo catechismo, in sessantadue frazioni, perché i bambini vengano portiamo sempre qualcosa da mangiare o giocattoli usati. Molti ci tacciono di paternalismo, ma se dopo aver fatto catechismo non si portano qualcosa a casa, non sono spronati a fare tanti kilometri per venire. Noi facciamo il pane, cuciniamo, laviamo, facciamo il rapporto settimanale per ogni bambino.
In quei luoghi, la violenza è ancora molto presente, per cui noi cerchiamo di educarli anche al rispetto, all’amore, alla pace, e un esempio è che quando due bambini litigano, li sproniamo ad abbracciarsi per qualche minuto, così da insegnare loro la fraternità e il perdono.
Qual è la vostra giornata tipo?
Da quando lavoriamo sistematicamente nel centro infantile, incominciamo alle 6.00 di mattina con la preghiera, come comunità di suore, poi, alle 7.30 usciamocon le macchine a prendere dai campi i bambini presenti nell’arco di 10 km; quando arrivano si lavano e si occupano della loro igiene, poi fanno colazione e iniziano le attività educative; alle 10.30 mangiano la frutta (in quelle zone non vi è frutta, ma solo patate, fave, avena e orzo), provenienti da altri territori della Bolivia, poi si ritorna in sala per attività ludiche, manuali, didattiche e alfabetizzazione, con cui stimoliamo le loro abilità; poi pranzano e dormono un po’, perché la mattina si alzano all’alba con i genitori per andare nei campi. Al risveglio fanno ancora attività ludiche, una piccola merenda e verso le 18.30 li accompagniamo alle loro case.
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