Il bello del calcio a Potenza: ASD Optì Poba

L’amore per il calcio. Il credere nei valori che il mondo dello sport insegna, e cioè la disciplina, il rispetto delle regole, il gioco di squadra, la lealtà. L’idea che in un campo di calcio si è tutti uguali. Sono questi gli elementi alla base della nascita dell’ASD Optì Poba, unita ad una particolare sensibilità del fondatore della squadra, Francesco Gi
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, e dei collaboratcus_potenza_laura_gresia_gerardiori che lo affiancano ogni giorno, suoi amici e, come lui, amanti dello sport. La squadra è composta da un gruppo di rifugiati giunto a Rifreddo (Pz) da pochi mesi; accanto alla struttura dove i ragazzi alloggiano, si svolge il corso per il conseguimento del patentino Uefa B che prepara gli allenatori. Francesco, allievo del corso, ha incontrato quei giovani. Si è fermato ad osservarli insieme al suo compagno di corso Gerardo Carella, che di lì a poco sarebbe diventato il preparatore dei portieri. I ragazzi giocavano a piedi scalzi ma sfoggiavano sorrisi spensierati mentre si divertivano a fare “due tiri” col pallone. Abbiamo incontrato Francesco Giuzio, fondatore ed allenatore dell’ASD Optì Poba, che ci ha raccontato di questa esperienza.

Caso ha voluto che il corso da allenatore che stai seguendo si svolge dove alloggia un numeroso gruppo di rifugiati politici giunto a Potenza da pochi mesi. Raccontaci come è nata l’idea di fondare una squadra di calcio con questi ragazzi. L’idea nasce immediata e spontanea. La mia passione per il calcio, soprattutto come allenatore, e una rosa potenziale di 120 atleti erano un’occasione troppo ghiotta per lasciarmela sfuggire. Così, insieme ad alcuni amici, tra cui il capitano della squadra del Potenza Calcio ho pensato di mettere in piedi questa squadra…ed eccoci qua!

Il nome che hai scelto di dare alla squadra, “Optì Poba”, nasce da una dichiarazione reputata razzista del presidente della FIGC Tavecchio fatta la scorsa estate. Quanto ti aveva colpito quella gaffe per decidere di stravolgerne il senso e assegnarlo alla squadra che stavi fondando? Io non credo che quella sia una dichiarazione razzista, il Presidente voleva esprimere un concetto rispettabile, condivisibile o meno, ma non credo fosse razzista. E parlando con lui proprio nella scorsa settimana ho avuto conferma di questo. A maggior ragione noi abbiamo inteso cambiare il senso comune di quel nome di fantasia, Opti Pobà oggi non è solo un uscita poco fortunata, ma anche un movimento di integrazione e accoglienza. È così che vogliamo la gente intenda questo nome.

Avresti mai immaginato che questa tua scelta si sarebbe trasformata in un caso esemplare del mondo dello sport – e non solo – e quali speranze hai per il futuro della tua squadra? Beh, che sia un caso esemplare è ancora presto per dirlo. Ci siamo avviati, tra mille difficoltà, ma dobbiamo ancora dimostrare tutto. Certo, se il buon giorno si vede dal mattino, possiamo dire che puntiamo a essere un esempio di integrazione. Le mie speranze per il futuro sono chiare, vorrei una squadra Opti Pobà in ogni città d’Italia, e magari provare a praticare più sport.

Durante la partecipazione al Premio internazionale Giacinto Facchetti – “il bello del calcio”, al quale sei stato invitato dalla Gazzetta dello Sport e Gianfelice Facchetti, hai avuto modo di incontrare, tra gli altri, proprio il presidente Tavecchio. Cosa hai provato e cosa vi siete detti? È stata una bella soddisfazione. Mi sono sentito felice, abbiamo condiviso le nostre esperienze in materia di integrazione e accoglienza per qualche minuto, nei quali ho avuto, come dicevo, l’impressione di trovarmi di fronte a una persona che era interessata e attenta a quello che dicevo. Dal canto loro, la Federazione si è impegnata nell’assistere tutte le società che si occupano di integrazione attraverso il gioco del calcio. E questo è un bene,  non siamo soli e non ci siamo inventati nulla, ci sono altre società che da anni tracciano un cammino che noi ora iniziamo a seguire.

In tale occasione hai conosciuto anche il premiato Francesco Totti, al quale hai regalato una maglietta della squadra. Raccontaci dell’incontro.  Francesco mi è sembrato divertito, i suoi sorrisi erano sinceri. E’ stato molto gentile a concedermi una foto con lui e con la maglia della nostra squadra. La cosa che più lo ha divertito è stato il numero e il suo cognome scritti a penna sul retro della maglia, ma non è così che giochiamo. Pensiamo che spendere soldi per stampare numeri e nomi sia uno spreco, abbiamo bisogno di cose più importanti…!

Con i “tuoi” ragazzi hai instaurato un rapporto personale oltre che professionale? Ti hanno mai parlato delle loro vite? Come stanno vivendo questa esperienza? Si, passiamo molto tempo assieme e questo ci ha legati molto l’un l’altro. Non avrei mai pensato di poter ricordare tutti i loro nomi, invece pian piano li riconosco tutti. Ho avuto anche modo di parlare con loro del loro passato, ma soprattutto del loro futuro, di quello che sognano e di ciò che li ha spinti a compiere vere e proprie odiesee pur di arrivare nel nostro paese.