Non fa mistero dell’intensa passione per la Basilicata e i musicisti della tradizione popolare locale. Ambrogio Sparagna si racconta ripercorrendo i suoi esordi e la sua vita dedicata alla musica.
Tra lei e la Basilicata c’è un legame indissolubile. Come nasce questo “amore”?
Ho cominciato a girare la Basilicata credo nel 1986, appena iscritto a Etnomusicologia all’Università di Roma. Il mio professore, Diego Carpitella, ci cacciava letteralmente dalla facoltà, invitandoci ad ascoltare la musica della Basilicata. Ricordo che mi mandò sul Sirino e sul Pollino a “studiare” i suonatori di zampogna. È stato uno choc intellettuale fortissimo, non avevo neanche vent’anni. Quello che mi colpì della regione fu la sua aderenza straordinaria ad un mondo mitico, che però non era una condizione depauperata, ma cosciente.
Cosa intende?
Voglio dire che l’incontro con i suonatori di zampogne e le donne che cantavano a Tricarico o a Pisticci mi ha aperto a un mondo antico, come quello dei riti arborei e del carnevale. A Castelsaraceno, ad esempio, ho assistito al matrimonio dell’albero, un rito oggi celebrato da ragazzi e che non nutre solo la mia curiosità antropologica. Ciò che mi impressione è la centralità di questi giovani che vivono alla periferia del paese. Quel rito senza giovani non può vivere. Un po’ come nel caso dei Campanacci di San Mauro Forte, tutti giocano ad essere parte di quella festa.
Il tema dell’albero ritorna nel suo spettacolo “Ballo” con l’Orchestra popolare italiana…
Riproduciamo la danza dell’albero, come avviene in Basilicata, con l’intreccio di tanti nastri al centro mentre i danzatori formano una stella. È un omaggio alla regione, che nello spettacolo ha un ruolo dominante, ma l’ho fatto anche nelle esibizioni con Lucio Dalla e Francesco De Gregori. Non è un caso che nei miei spettacoli ci sia sempre un elemento che riconduce a Rocco Scotellaro, per me il Pergolesi della letteratura – compositore di musica sacra – per il suo essere drammatico, epico, lirico, utilizzando immagini e parole semplici della poesia contadina, non formule complesse.
Lei ha la Basilicata nel cuore. A un amico che volesse visitarla cosa consiglierebbe e perché?
Di camminare. Perché se si raggiungono le Dolomiti Lucane si ammira un paesaggio, se si va a Matera si trova un quadro completamente opposto, così a Pisticci o a Craco, pur essendo vicini. Qual è la Basilicata? La Basilicata è tutto, è il luogo della grande Italia, dell’Italia che ha avuto una storia, una identità. Chi oggi va in terra lucana deve saperla capire.
C’è un luogo a cui è particolarmente legato?
Nella Cattedrale di Matera è conservato il presepe cinquecentesco di Altobello Persio e Sannazaro di Alessano. Quel presepe ha una importanza straordinaria per la musica italiana, perché vi sono rappresentati tutti gli strumenti, compresa la ghironda, di origini medievali e tipico del nord, oltre a ciaramelle, zampogne e clavicembali. In Basilicata c’è un’essenzialità che non va persa, come la capacità di arrivare dritta al cuore.
Cosa arriva al cuore?
Quando si ascolta il suono della zampogna lucana ti colpisce, ti stordisce, come i Campanacci di San Mauro Forte. Quello stordimento, quella vertigine dell’immagine essenziale fanno la differenza, lo sosteneva anche Pasolini che quando ha scelto Matera non lo ha fatto solo per la sua somiglianza ad un paese della Galilea, ma perché nei volti dei lucani ha colto una forza introvabile altrove.
Giocando con il linguaggio musicale: che ritmo hanno i volti della Basilicata e i suoi luoghi?
Domina sempre il contrasto. Accenti forti e pesanti. Se vuoi trovare il pizzicato, il fronzolo musicale devi andare nel Salento, a Napoli, ma se vuoi ascoltare il suono attaccato alla terra, il ritmo diretto, devi venire qui. Non possiamo avere il pane o le rose, ma il pane e le rose. Questo è l’aspetto identificativo della Basilicata.
Cosa ha significato per la sua carriera suonare con grandi come Dalla e De Gregori?
Ho imparato molto da loro, ma i miei grandi maestri li ricordo tra i suonatori lucani, come i fratelli Forestiero e tutti i musici anziani del posto. Con Dalla, De Gregori e altri artisti della musica leggera ho avuto un rapporto di amicizia, ma non dimentico il maestro Peppe Belviso, di Viggiano, costruttore di zampogne. Con loro ho trascorso alcuni dei momenti più belli della mia vita, in Basilicata.
La Basilicata e la sua musica popolare sono protagonisti anche di un nuovo progetto per la Rai. Può anticipare qualcosa?
Le riprese sono state girate tra Viggiano, Tricarico e Matera. A Viggiano per quello che rappresenta il culto della Madonna Nera, Protettrice della Basilicata, e perché terra di arpe. Non tutti sanno che la doratura dell’Arpa di Viggiano è nata in ossequio all’immagine della Madonna Nera.
Perché la scelta di girare anche tra Tricarico e Matera?
Tricarico per la dimensione più arcaica della ritualità del Carnevale, che in Basilicata si esprime con il valore simbolico delle maschere legato alla cultura agricola, con la lotta tra il toro e la mucca. In questo lavoro si fa riferimento poi a “Cristo si è fermato ad Eboli” di Carlo Levi, riprendendone alcuni passi, come le lettere tra lui e la sorella, e a Pasolini, perché quest’anno ricorrono i cinquant’anni del “Vangelo secondo Matteo”. Nel filmato compaiono anche le chiese rupestri, con suoni e canti della tradizione interpretato soprattutto dai giovani. A margine di questo progetto con la Rai stiamo completando un lavoro sul backstage, puntando sui paesaggi della Basilicata che cambiano dopo ogni passo, ogni volta che si gira una curva.