Immortalare la vita, catturare un dettaglio, un fascio di luce, un’emozione: questo è ciò che fa il fotografo attraverso i suoi scatti. Ferma il tempo e lo imprime su carta fotografica in modo da renderlo eterno.
La fotografia può essere declinata in mille modi diversi, sarà l’occhio ( o meglio il cuore) di chi scatta a scegliere il significato che essa esprimerà.
Cariche di mistero e dolce malinconia sono le foto del potentino Vincenzo Martinelli, definito come il “fotografo dell’abbandono e del silenzio”. I suoi scatti coinvolgono lo spettatore emotivamente e mentalmente; l’inquietudine iniziale lascia spazio alla riflessione. Chi era seduto su quella poltrona impolverata? Di chi erano gli occhiali lasciati sul comodino? Perché tutto è rimasto fermo, intatto?
Vincenzo, prima di parlare delle tue foto, raccontaci di te. Chi è Vincenzo Martinelli?
Bè iniziamo forse con la domanda più difficile. In realtà non sono mai stato bravo a descrivermi, parlare di chi sono, della mia vita. Di sicuro ho fatto della fotografia un modo per esprimere alcune parti di me che spesso rimangono nel silenzio. Emozioni e sentimenti che riesco in una qualche maniera a mettere in uno scatto e renderle accessibili e private allo stesso tempo.
Le tue foto sembrano parlare, creando un ossimoro con il silenzio che immortali. “Il tempo che ci travolge” come leggiamo nel tuo blog; qual è il significato di tutto ciò? Cosa vuoi esprimere attraverso la tua macchina fotografica?
Si, è proprio così. Questi luoghi che oserei dire “magici” per tanti aspetti, portano esattamente ad una sorta di contrasto tra lo scatto in sé e quello che nascondono. Un luogo abbandonato racchiude una storia, una vita, un amore, una famiglia ed è impossibile rescindere questo legame. Quello che cerco di esternare è il modo in cui dovremmo apprezzare il presente, la nostra vita e quello che viviamo. Il tempo passa per tutti e non possiamo trattenere nulla ed io sono affascinato e spaventato da questo moto inarrestabile. Questo però non suona come un velato pessimismo, ma al contrario ci porta ad amare il nostro momento. E’ da questo che nasce “Tempo che ci Travolge”, il nome che ho dato ad una mia mostra fotografica.
Dove trovi questi luoghi?
Il lavoro di ricerca di questi luoghi è molto difficile. Richiede tempo, pazienza e rischio. Mi ha portato a visitare regioni diverse in tutta Italia. La maggior parte del lavoro lo faccio tramite google maps dove ogni dettaglio può essere utile per scovare queste case dimenticate . Poi, c’è il passaparola tra noi che facciamo questo genere di esplorazioni. Siamo ragazzi ben attenti a preservare l’integrità dei luoghi e quindi sono informazioni strettamente riservate. Ovviamente tra i tanti km che facciamo c’è sempre il rischio di fare un buco nell’acqua. Ma questo fa parte dell’ Urbex.
I tuoi scatti sono il racconto di qualcosa che era ma adesso non è più, il processo inverso di metamorfosi da farfalla a crisalide. Sicuramente quelle case, quelle chiese oggi abbandonate un tempo ospitavano flussi di vita. Cosa ti affascina di questi posti?
Di questi posti mi affascina il romanticismo che ne è rimasto. La loro dolcezza. La loro perseveranza. Il silenzio che li copre, quasi a proteggerli. Il rumore improvviso di una finestra che sbatte, una porta semiaperta che non vedi l’ora di aprire del tutto. Il profumo dell’abbandono, della natura che ha preso piede là dove una volta c’era la vita. Mi piace immaginare. A volte prima di scattare mi fermo qualche minuto a godermi il momento, che molto spesso vale più dello scatto stesso.
C’è uno scatto a cui sei particolarmente affezionato o che ti ha emozionato di più?
No, non c’è uno scatto che mi abbia emozionato in modo particolare. Anche perché ogni luogo ti regala qualcosa di diverso che metterai nel tuo bagaglio sentimentale. Ma sono legato ad uno scatto in particolare sì, forse uno dei miei primi scatti fatto 4 anni fa che ha ricordato una parte del mio passato e che mi ha dato la voglia di continuare ad esplorare.
La fotografia è sicuramente una delle più belle forme d’arte e di comunicazione, che sentimento speri di suscitare in chi guarda le tue foto?
Sono perfettamente d’accordo con te e ci tengo a dire che la fotografia resta un’emozione alla portata di tutti. Di chi scatta da sempre e di chi ha paura di non essere bravo. La fotografia si ricorderà per le sensazioni che esprime. L’ esempio di tutto questo è Vivian Maier, tra le fotografe più brave del ‘900 pur non essendo mai stata una fotografa professionista. Per quello che riguarda me io sono e sarò sempre grato a questi meravigliosi luoghi. Io scatto sì ma la bellezza mi viene regalata. Una volta una persona guardando una mia foto mi disse: “Mi hai fatto ricordare di quando ero piccola, la mia casa natale che quasi non pensavo più”. E’ questo che spero di suscitare nelle persone. Un ricordo, una storia, una cosa che riteniamo persa. Prendere uno scatto e dargli un significato personale è il successo di una fotografia.