Siamo a Tricarico, città arabo-normanna culla della musica lucana. Qui, abita Francesco Martinelli, restauratore di mestiere e intenditore di musica blues per passione.
La musica è per molti compagna di vita e strumento per evadere dalla routine quotidiana; nel caso di Franco è qualcosa di più, è stata scintilla per la realizzazione di un’idea simpatica e bizzarra: l’orto blues.
“Franco, il tuo orticello impreziosito da una serie di cartelli “musicali” è sicuramente una delle cose più originali e curiose mai viste. Raccontaci di ORTO BLUES, come ti è balenata quest’idea?”
Non c’è un motivo vero e proprio. Io di mestiere faccio tutt’altro, mi occupo di restauro. Un giorno ho semplicemente deciso di cominciare a coltivare il piccolo appezzamento di terra che ho al centro del paese così, per puro svago. Inizia da qui questa storia, per me meravigliosa perché la musica la amo da sempre. Orto Blues nasce da una riflessione: una sera, mentre mi dedicavo al raccolto pensavo a quanto il lavoro nei campi fosse faticoso, pensavo agli schiavi afro americani nelle piantagioni di cotone e mentre avevo quest’immagine nella testa, pensavo al potere della musica, a come il blues, nato in quei campi fosse uno sfogo, un modo per evadere da quella condizione, un canto di libertà.
“Partendo dal significato più profondo della musica blues, hai strutturato questo simpatico orto “intrecciato” da tanti piccoli cartelli. Ricordi qual è stato il primo ?
Ovviamente, partorita l’idea, il primo cartello non poteva che essere ORTO BLUES. Successivamente, man mano che aggiungevo piantine all’orto, assegnavo ad ognuna un cartello con il nome di qualche famoso bluesman americano. L’Orto blues si divide in due aree ben definite: la prima riguarda la nascita del blues a partire da Robert Johnson; la seconda area invece è dedicata al famoso Crossroads del 2010.
“Dalle tue parole si evince il forte amore nei confronti della musica blues, quasi come se fosse una componente essenziale della tua vita. Quando ti sei avvicinato a questo genere?
Il mio approccio alla musica è stato abbastanza precoce. Ho iniziato ad ascoltare il blues all’età di 10 anni quando da bambino mi recavo a casa di un amichetto e ascoltavamo di nascosto i dischi di suo fratello maggiore. Ecco, in quel periodo ho iniziato a fare di quella musica la mia essenza.
“Da intenditore, appassionato, cultore, la musica è cambiata negli ultimi 40 anni?”
Si, senza ombra di dubbio. Ovviamente musicisti eccelsi ne troviamo ancora e ce ne saranno sempre; quello che è cambiato, a mio avviso, è l’approccio. Non esistono più le file chilometriche davanti ai negozi di musica, anzi molti negozi non esistono neanche più. È venuto a mancare il sapore, l’emozione di comprare un disco, di custodirlo e ascoltarlo fino allo sfinimento. Questo è cambiato. Forse non ascolteremo più canzoni come “the trill is gone” di BB King, ma la musica, per fortuna, non morirà mai.
“Il blues era “la voce degli ultimi”, di chi lavorava nei campi di cotone e cantava per allontanare la fatica, era una valvola di sfogo. Oggi ha ancora questo ruolo sociale?”
Credo di si. Pensiamo un attimo a ciò che abbiamo vissuto nei mesi scorsi. Durante il lockdown, le persone suonavano dai loro balconi, non è condivisione questa? Anche in questo caso, come lo era in passato per gli schivi, la musica è riuscita ad essere “evasione”.
Il blues, e tutta la musica in generale, sarà sempre collegata alla nostra anima, ricoprirà sempre un ruolo sociale.
“…and now that it’s all over, all I can do is wish you well.”