Il 3 maggio è stata la Giornata mondiale della libertà di stampa, per celebrare la libertà di espressione e ricordare ai governi il loro dovere di rispettarla. Purtroppo, attualmente ci sono almeno 231 giornalisti professionisti e 115 citizen journalists dietro le sbarre, oltre a 14 tra fotografi e video maker. La situazione nel 2020 non è destinata a migliorare: il 2020Wprld Press Freedom Index, cioè la classifica annuale di Reporter Without Borders che si basa sulla valutazione della libertà di stampa di tutte le nazioni del mondo, mostra che c’è una correlazione tra le violazioni della libertà di stampa e l’epidemia di Coronavirus. Tant’è che è stato istituito l’Osservatorio 19 (in riferimento all’art. 19 OHCHR) per valutare gli impatti della pandemia sul giornalismo. Questa crisi sanitaria mondiale infatti, viene utilizzata da alcuni paesi per intensificare la repressione e gli attacchi ai media e persino per imporre misure che sarebbero impensabili in tempi normali. All’ultimo posto del ranking, c’è il paese “senza casi”, la Nord Corea, dove anche solo leggere o guardare un media straniero può venire punito con la detenzione in campi di concentramento. La Korean Central news Agency (KCNA), l’unica fonte autorizzata a fornire informazioni ufficiali, è rimasta in silenzio sull’argomento. La situazione in Cina invece è sicuramente la più estrema tra le nazioni più grandi. Alcuni giornalisti che parlavano della situazione negli ospedali di Wuhan, epicentro dell’epidemia, riportando dati diversi da quelli governativi e criticando l’operato del partito comunista, sono semplicemente scomparsi e non si hanno più notizie di loro. La Cina non è l’unico paese a mettere restrizione su come bisogna trattare il tema Coronavirus. Le campagne di disinformazione in Russia per esempio sono volte a screditare l’approccio che l’Europa e soprattutto la Germania hanno avuto nel combattere la pandemia. In Serbia, una giornalista è stata arrestata per aver riferito sulla situazione negli ospedali. Tra chi approfitta della situazione per attuare misure restrittive però non ci sono solo le lontane Russia e Cina ma anche paesi molto più vicini a noi. L’Ungheria ha recentemente emanato leggi sullo stato di emergenza che consentono al primo ministro di incarcerare i giornalisti fino a cinque anni per quello che il governo ha descritto come “notizie non equilibrate”. A sud dell’Europa, l’Egitto ha reso il giornalismo un crimine da reprimere secondo Amnesty International, il governo egiziano infatti sta usando la pandemia per rafforzare il controllo dei media e reprimere il dissenso. Amnesty ha documentato 37 casi di giornalisti detenuti nella crescente repressione del governo sulle libertà di stampa. Molti erano stati accusati di “diffondere fake news” o di “abusare dei social media” ai sensi di un’ampia legge antiterrorismo del 2015, che ha ampliato la definizione di terrore per includere tutti i tipi di dissenso. Infine, tra i grandi player democratici mondiali spiccano gli Stati Uniti. Abbiamo visto giornalisti con idee che differiscono da quelle del governo, o che criticavano la risposta dell’amministrazione alla crisi, affrontare diffamazioni, denunce e accuse di “fake news” in diretta. Questa è una tendenza che è peggiorata solo di recente. Negli ultimi tre anni Reporter Without Borders afferma di aver assistito a uno sviluppo preoccupante negli Stati Uniti in cui i giornalisti affrontano sempre più minacce e attacchi verbali e fisici. E l’Italia? Il nostro paese passa dalla 43esima alla 41esima posizione. Nell’analisi di Reporter senza frontiere viene però posto l’accento sugli oltre 20 giornalisti costretti a vivere sotto la protezione delle forze dell’ordine a causa delle minacce ricevute. Inoltre, nel novembre del 2019, in Campania, il giornalista Mario De Michele ha rischiato di essere ucciso in un attentato di matrice camorristica a seguito di un’inchiesta che stava conducendo. E “ci sono stati anche casi di violenza fisica e verbale nei confronti di giornalisti da parte di gruppi appartenenti all’ala neofascista”, sottolinea R.S.F. Il livello di violenza contro i giornalisti in Italia è cresciuto soprattutto a Roma e nel sud del Paese.
I prossimi dieci anni saranno fondamentali per la libertà di stampa, per via di una serie di crisi convergenti: ma due sono i temi che però dobbiamo essere pronti ad affrontare. In primo luogo, dovremo esaminare a fondo la questione dei finanziamenti ai media privati in tutto il mondo, e poi dobbiamo chiederci: siamo pronti a difendere il lavoro dei giornalisti che mettono apertamente in discussione le politiche dei governi di tutto il mondo? Perché ce ne sarà bisogno.