Cos’hanno in comune un matrimonio tradizionale ruotese e uno tunisino? Nulla direte voi, ma in realtà ci sono molti più parallelismi di quanto potreste immaginare.
Ebbene, un paio di mesi fa, sono partita per la Francia, precisamente in Provenza, dove i miei nonni materni immigrarono agli inizi degli anni ’60 e dove tuttora vive quel ramo della mia famiglia, per prendere parte al matrimonio di mio cugino. Si è trattato di un matrimonio misto, giacché i promessi sposi entrambi cittadini francesi, sono di religione diversa: lui cattolico, lei musulmana figlia d’immigrati tunisini e, poiché nessuno dei due si è convertito all’altra confessione, hanno optato per una cerimonia civile.
Nonostante questa scelta, la sposa non ha voluto rinunciare ai rituali propri della sua cultura, ed è stato come vivere un racconto delle mille e una notte ma, con un non so che di familiare. Nella cultura musulmana c’è tutta una preparazione dedicata alla sposa in vista del matrimonio, che termina con la cerimonia dell’hennè. La promessa sposa circondata solo dalle donne di entrambe le famiglie si sottopone al tatuaggio all’hennè (inchiostro ricavato da un arbusto spinoso della famiglia Litracee) delle mani e dei piedi, per sancire il passaggio da nubile a donna impegnata. Analogamente nella tradizione lucana c’è la «settimana r la zita», nella quale si preparava il corredo che la sposa portava in dote, e che veniva poi trasportato in grandi ceste di vimini poggiate sul capo di alcune parenti a casa dello sposo, dove si preparava il letto matrimoniale.
È usanza tunisina, così come un tempo facevano i nostri nonni, che lo sposo, accompagnato dalla madre, vada a prendere la sua amata a casa dei suoceri, nella pratica tunisina l’arrivo dello sposo è accolto con le zaghroutah (grida di gioia che le donne arabe emettono in occasioni speciali, per far capire al vicinato che nella famiglia è successo un lieto evento), poi, così come accade ancora oggi da noi, ci si dirige verso il luogo della cerimonia in corteo, con testa la sposa al braccio del padre.
Tralasciando la funzione civile che si è svolta, così come la conosciamo: lettura degli articoli del codice civile, scambio delle promesse e delle fedi e bacio finale; la parte più affascinante è stata la festa. Il salone dove si è tenuto il ricevimento, era magnificamente allestito con tavoli intagliati in legno bianco, drappi di velluto rosso che scendevano dalle finestre e, in fondo alla sala troneggiava un divano bianco con cuscini finemente ricamati. La famiglia della sposa indossava dei kaftan (abiti tradizionali per le cerimonie) dai colori sgargianti e pieni di decori, anche la sposa che per il rito civile aveva il classico abito nuziale bianco, durante la serata si è cambiata altre due volte vestendo gli abiti tradizionali: il primo di seta rosso cremisi, era composta di una tunica rossa e da un copricapo con vistosi elementi in oro che le incorniciavano il viso, il secondo era rosa, tempestato di pietre e brillanti. Questo mi ha portato alla mente il costume tradizionale ruotese, quando durante i matrimoni di un tempo, le donne sfoggiavano lu juppon (copri spalle), la camis cu l’arricc (la camicia con un merletto intorno alla scollatura) e lu uarda chiec (il grembiule) più belli, quelli appunto delle occasioni.
La cena preparata interamente dalle sapienti mani della sposa era composto di pietanze tipiche tunisine: fricassée (panini imbottiti con verdure, tonno e olive), tajine el bay (frittata di spinaci); Brik (composto di riso basmati, crudità, e involtini di pasta fillo ripieni di verdure e carne); Cous cous speziato di verdure e carne di montone; e per finire thè alla menta e pinoli accompagnato dai backlawa (dolcetti al miele, frutta secca e pasta fillo). Anche qui, di nuovo un parallelismo con il matrimonio antico ruotese, quando erano le famiglie degli sposi a preparare il pranzo nuziale e tra i piatti della tradizione, compare proprio uno a base di carne di montone: lu cutturidd. Durante la festa non sono mancati musiche e danze tipiche tunisine, così come ancora oggi nei nostri matrimoni non mancano l’organetto e la tarantella! Insomma vivere questo matrimonio mi ha fatto riflettere su come due realtà così lontane sia geograficamente sia culturalmente, condividano uno stesso modo di concepire il valore del matrimonio e della famiglia, con la differenza forse, che “loro” mantengono vive e, a volte rivendicano, la messa in pratica delle loro tradizioni; mentre “noi” prendiamo le distanze da ciò che è “antico e passato” e diciamola tutta, a volte vergognandoci qualora certe usanze emergono nonostante tutto.
La nostra identità, ciò che ci rende appartenenti a una cultura, sono il frutto proprio di quel patrimonio tradizionale; quei valori, quelle usanze sono fondamentali per rinsaldare i legami familiari e il senso stesso di comunità. Un ritorno alle origini non deve significare arretratezza ma, piuttosto, conoscere chi siamo è fondamentale per capire chi vogliamo essere.