«La cecità stava dilagando, non come una marea repentina che tutto inondasse e spingesse avanti, ma come un’infiltrazione insidiosa di mille e uno rigagnoli inquietanti che, dopo aver inzuppato lentamente la terra, all’improvviso la sommergono completamente».
La letteratura ci offre numerosi esempi in cui è stato affrontato il tema della pandemia: dall’Antigone di Sofocle, al Decameron di Boccaccio alla Peste di Camus, e alla Cecità di Saramago di cui la citazione sopra.
La nostra vita, le nostre attività che normalmente sono organizzate in base ad una serie di principi e di diritti garantiti a livello costituzionale, oggi, hanno subito una compressione e una limitazione in virtù dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo.
È importante capire come hanno reagito le nostre istituzioni, e cosa comportano le restrizioni poste in essere nel nostro territorio. Seppur in modo sintetico, si cercherà di fare chiarezza.
Il contagio da coronavirus rappresenta una emergenza nazionale senza precedenti nella storia della Repubblica. Le nostre istituzioni hanno reagito utilizzando in rapida successione, e con un crescendo di intensità collegato all’aggravarsi del contagio, una pluralità di strumenti ordinanze di ambito nazionale, regionale e locale; decreti legge, DPCM.
È bene fare una premessa: la Costituzione italiana del 1948, per ragioni da rintracciarsi nella storia del nostro Paese, non contiene, a differenza di altre Costituzioni, disposizioni sulla distribuzione dei poteri in una fase di emergenza. Vi sono nel testo costituzionale tre diverse tipologie di situazioni che prevedono la possibilità dello spostamento delle competenze costituzionalmente previste. La prima, regolata nell’art. 78, non a caso inserita nella parte sul Parlamento, riguarda lo stato di guerra, che deve essere dichiarato dalle Camere, conferendo al Governo “i poteri necessari”. La seconda situazione, art.77 è quella dei “casi straordinari di necessità e urgenza”, in cui il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, che devono essere convertiti in legge entro sessanta giorni . La terza riguarda il rapporto tra Stato, Regioni e autonomie locali (art. 120, commi 2 e 3), prevedendo che l’esercizio dei poteri sostitutivi, tra l’altro, nel caso di “pericolo grave per la sicurezza e l’incolumità pubblica”, deve avvenire nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione. In mancanza di esplicite disposizioni costituzionali, si segue lo schema del Codice della protezione civile (art.24 dlg. 1/2018) secondo cui al verificarsi di una emergenza di rilievo nazionale, accertata dal Dipartimento della protezione civile, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, delibera (art.24) lo stato di emergenza di rilievo nazionale, stabilendone la durata, che non può comunque eccedere i dodici mesi, rinnovabili per altri dodici, di fatto, avvenuta il 31 gennaio ’20 con termine il 31 luglio ’20.
Per fronteggiare lo stato di emergenza nazionale il Presidente del consiglio dei ministri può adottare ordinanze che devono essere specificamente motivate, e che possono essere emanate solo dopo avere acquisito l’intesa delle regioni interessate e indicando espressamente le norme di legge alle quali intendono derogare.
Quando però la diffusione del contagio ha assunto le proporzioni di un’epidemia, a partire dalle giornate del 20 e 21 febbraio 2020, in seguito all’infezione di alcuni pazienti ricoverati negli ospedali di Codogno e di Lodi, i primi provvedimenti sono stati adottati in un quadro normativo diverso, che attribuisce al Ministro della sanità il potere di emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente in materia di igiene e sanità pubblica, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o a una parte di esso, comprendente più regioni; lo stesso potere è attribuito al Presidente della giunta regionale e ai sindaci con efficacia estesa ai rispettivi territori di competenza. Così il 21 febbraio sono state adottate due ordinanze da parte del Ministro della salute: la prima, d’intesa con il Presidente della giunta della regione Lombardia, e con efficacia limitata al territorio dei comuni interessati dal focolaio, stabiliva il divieto di entrata e di uscita dallo stesso territorio, e disponeva la sospensione di tutte le attività, lavorative, ludiche, sociali (le manifestazioni comprese quelle religiose) e di tutte le attività educative ad esclusione della frequenza di corsi universitari con modalità telematica; la seconda, con efficacia su tutto il territorio nazionale, imponeva alle autorità sanitarie competenti di applicare la misura della quarantena, con vigilanza attiva, per quattordici giorni, a quanti avessero avuto contatti con persone infette. Quest’ultima imponeva anche a tutti gli individui che, negli ultimi quattordici giorni, avessero fatto ingresso in Italia da una delle zone della Cina colpite dalla malattia, di segnalare tale circostanza alle autorità sanitarie territorialmente competenti. A distanza di due giorni il Governo ha però ritenuto necessaria l’adozione del decreto legge 23 febbraio 2020, n.6, recante “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19” accentrando di fatto la gestione emergenziale nell’esecutivo.
Lo strumento del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è sicuramente strumento più rapido e flessibile in una situazione come quella attuale, ma a risentirne è il Parlamento, con un sistema dei partiti forte, il Presidente del Consiglio, anche in fasi di emergenza, avrebbe lavorato a stretto contatto con gli esperti dei partiti; in una fase di debolezza dei partiti come quella attuale, il reale processo decisionale rischia di essere più oscuro: ad esempio, come è organizzata la catena che conduce dal Comitato tecnico scientifico al capo della protezione civile e infine al Presidente del Consiglio o ai ministri competenti?. In dottrina si discute anche sul grado di copertura che offre lo strumento del DPCM riguardo al bilanciamento tra diritti e doveri che è alla base dell’equilibrio della nostra carta e, che in questo momento vede fortemente limitata la sfera dei diritti fondamentali.
Nonostante questo, il decreto-legge, prevede il coinvolgimento del Presidente della Repubblica, chiamato all’emanazione dell’atto, e del Parlamento, chiamato alla conversione in legge, anche se per settimane si è discusso sulla effettiva praticabilità delle due Camere. Nella solenne “democraticità” delle malattie, il virus non sta risparmiando politici e parlamentari, e solo nella giornata del 25 marzo ‘20, il Parlamento si è riunito con presenza ridotta e scaglionata.
Con il passare dei giorni ci siamo resi conto la crisi della pandemia da coronavirus sarebbe stata lunga e avrebbe avuto effetti dirompenti, non solo sulle nostre vite quotidiane, bensì anche sulla tenuta del nostro sistema economico. Per riprendersi, oltre a drastiche misure di semplificazione del sistema amministrativo e dei meccanismi di controllo, sarà necessaria una massiccia iniezione di denaro. Ad oggi, il Governo ha stanziato 25 miliardi (decreto Cura Italia) divisi tra il sistema sanitario nazionale e il sostegno all’occupazione, la difesa del lavoro e del reddito. Sui social rimbalzano i paragoni tra i 25 miliardi italiani e i 550 miliardi della Germania, i 300 miliardi francesi, etc. Mi preme chiarire questo passaggio: questi paesi non li hanno stanziati, cioè non hanno messo in circolo queste somme, ma sono dei prestiti per le imprese e i governi si pongono come garanti di tali somme con una copertura che va dai 15 ai 20 miliardi. La differenza è che il nostro ordinamento li ha proprio erogati. Di sicuro non bastano e si stanno già discutendo altre iniziative economiche.
Un’ultima considerazione riguarda la comunità europea che in questa situazione emergenziale ha mostrato tutti i suoi limiti, vedi la chiusura dei confini dell’area Shengen. Apprezzabile dal punto di vista comunicativo il discorso in italiano del Presidente della Commissione europea Von der Leyen, che sottolinea la necessità di un atteggiamento solidaristico e unitario, anche se non tutti gli stati membri la pensano allo stesso modo (vedi Olanda sul patto di stabilità) meno, quello del Presidente della Banca Centrale europea Lagarde, che qualche giorno fa ha corretto il tiro annunciando un piano da 750 miliardi affermando che «tempi straordinari richiedono azioni straordinarie».
È chiaro che bisogna ripensare alla struttura stessa dell’Unione europea e adeguarla ai nostri tempi che ci pongono diverse sfide: quella climatica, quella sanitaria e quella dei valori comuni. Valori che furono il punto di partenza dei padri fondatori dell’Unione.