La Displasia Ectodermica: una dura e (mi)sconosciuta realtà. Intervista a Giulia Fedele, Presidente Nazionale A.N.D.E

Giulia Fedele è il Presidente dell’Associazione Nazionale Displasia Ectodermica. Lucana di Tricarico, ma trasferitasi a Milano, da anni è impegnata nella diffusione e informazione di questa rara patologia. In occasione della giornata internazionale sulla displasia, abbiamo approfondito questo tema, tracciando con lei un profilo della situazione attuale.

 

Che cos’è la Displasia Ectodermica? Quali le cause e le possibili cure?

 

La displasia ectodermica è una patologia rara di cui si contano circa 7000 casi diagnosticati in tutto il mondo, solo in Italia 460 tra adulti e bambini. È una malattia genetica trasmessa da madre a figlio con caratteristiche più conclamate, mentre alle figlie con pochissimi segni quasi impercettibili se non all’occhio clinico di un medico esperto.  Alla nascita, il quadro clinico si presenta con caratteristiche somatiche che ricordano il viso di un anziano, la pelle particolarmente secca, pochi capelli sottili e radi, assenza di ghiandole sudoripare, lacrimali e a volte anche salivari, mancanza di denti parziali o totali a forma conica. Cure vere e proprie non esistono, sono palliative.

Bisogna usare quotidianamente saponi e creme che non contengano profumi, parabeni, derivati del petrolio ecc. ma che detergano e nutrano la pelle. Lacrime e saliva artificiale, protesine dentali da apporre già a tre anni circa. Per la termoregolazione assente è opportuno avere un ambiente rinfrescato che non debba superare i 23°C massimi, altrimenti potrebbe accadere che la temperatura salga eccessivamente in pochissimo tempo, causando problemi neurologici.

 

La DE è stata riconosciuta come malattia genetica rara, ma le sue cure non sono convenzionate. Perché e cosa si può fare per cambiare la situazione?

La DE è riconosciuta come malattia rara ma tutto ciò di cui necessita, non è fornito. Creme, oli da bagno, sapone lavante, lacrime artificiali, non sono farmaci ma sono ritenuti cosmetici e quindi, ci vuole l’autorizzazione da parte della commissione ASL a rilasciare la fornitura, e nella maggior parte dei casi non avviene. Per quanto riguarda le protesine, o impianti dentali, non è previsto nel nomenclatore e neppure da LEA e, il tutto è lasciato al volontariato dei singoli specialisti e aziende che ogni tanto ci forniscono materiale a prezzi bassissimi, oppure ce li dona. Non parliamo poi dell’abbigliamento refrigerante o dei condizionatori, e per alcuni la necessità di avere delle protesi per capelli (parrucca), l’ASL riconosce questo solo ai chemioterapici.

L’aspetto di questi bambini non è tra gli interessi e tutta la situazione è gestita a suon di portafoglio dalla famiglia.

 

L’ospedale Sacco di Milano, diretto dal Prof. Gian Vincenzo Zuccotti, è il primo centro di riferimento per la sperimentazione di EDI200, la proteina che può sconfiggere la malattia. Quali sono oggi, i risultati di questo metodo di terapia innovativa?

 

Qualche anno fa è stato chiesto al Comitato etico dell’ospedale Sacco di avviare la sperimentazione su questi bimbi con la proteina EDI 200, richiesta accolta ma, non è stata mai messa in atto perché la casa farmaceutica che disponeva di questa proteina ha finito i finanziamenti e quindi ora è possibile fare sperimentazione solo in Germania, dove il noto pediatra prof. Schneider porta avanti questo studio solo su bimbi maschi.

 

Come nasce l’Associazione A.N.D.E e il suo impegno nell’associazione?

 

L’associazione nasce nel 1999 costituita da me insieme con altri pochi genitori con l’intento di trovare sul territorio italiano altri che avessero la stessa patologia, fare informazione, creare centri di riferimento, informare e formare medici che conoscessero tale patologia. Il percorso è stato lungo ma a oggi abbiamo centri e medici di eccellenza, dove le nostre domande non sono vane, i bimbi sono clinicamente seguiti con rilascio sia sul piano terapeutico sia per l’identificazione della displasia, oltre a certificazioni che servono per la parte burocratica.

 

Quali gli scopi, gli obiettivi e le iniziative?

 

Come dicevo abbiamo centri di riferimento ma principalmente al Nord, Milano, Padova, Trieste, Bologna, Roma, quindi ci sono ancora numerosi pazienti che sono obbligati a spostarsi nelle città dove appunto si trovano i centri. L’obiettivo è quello di avere un referente in ogni regione. Noi continueremo a coinvolgere i medici che vorranno far parte della nostra famiglia, nei vari convegni a tema, e prima o poi arriveremo ad essere presenti sul tutto il territorio, sono fiduciosa!

 

Quali sono gli strumenti a disposizione dei pazienti per fronteggiare sia gli aspetti medici che burocratici?

 

Ad oggi ci sono aspetti negativi cui far fronte.

Ad esempio, il bimbo è riconosciuto dalla commissione ASL/INPS invalido e gli viene rilasciato il verbale della 104, piano terapeutico, contrassegno, accompagnamento, ma ciò non è ancora la prassi sull’intero territorio. Non tutte le famiglie hanno questi riconoscimenti.

Altra questione che dobbiamo combattere è il riconoscimento dell’invalidità al raggiungimento della maggiore età che, il quale è drasticamente dimezzato, togliendo ogni diritto. E’ una malattia rara, si nasce e si muore con essa, nel corso della vita non si migliora. Fronteggiamo questo con ricorsi e appelli in Tribunale, dove non sempre c’è la vittoria. E dallo sfinimento si abbandona tutto.

 

Il 20 febbraio è la giornata internazionale sulla displasia. Che cosa occorrerebbe fare per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni su questa patologia di cui poco si parla?

 

In tutta l’Europa e anche in America, è stata istituita questa giornata per farci conoscere, ogni paese nelle proprie piazze è presente per distribuire volantini, omaggi e interviste varie. Occorrerebbe iniziare dai pediatri, che alla nascita dovrebbero riconoscere la malattia e fornire ai genitori tutta la procedura sanitaria e burocratica. Questo è successo rarissimamente, anzi il più delle volte è successo che i genitori sono stati azzittiti qualora avessero fatto domande in più sull’aspetto del bambino e sul futuro che li attendeva. Nelle scuole, le insegnanti dovrebbero avere un occhio di riguardo, soprattutto per la temperatura, altrimenti si rischia l’ipertermia con conseguenze gravi. Oltre all’utilizzo di creme per la pelle e delle lacrime, moltissimi istituti si rifiutano di porgere questi piccole accortezze che sono fondamentali per la vista del piccolo.

Noi, come associazione, inviamo o facciamo distribuire dai genitori, nelle varie scuole, librettini studiati e illustrati appositamente per spiegare la patologia. Non sempre c’è collaborazione. Anzi l’indifferenza è tale da far paura. Bisogna che ci s’innamori della professione che si è scelti di fare. Si è persa l’umiltà. Possiamo organizzare tutti gli incontri del caso, conoscere tante personalità ma, se dall’altra parte non c’è voglia di fare, tutto resta inutile o quasi ma, noi non demordiamo e continueremo a fare.