«È incredibile come i miei coetanei siano così superficiali. Ed è ancora più assurdo che questa superficialità determini così tanto, in così tante vite. Lo chiamano bullismo, io lo definirei solo ‘idiozismo’».
Stop sulla tre quarti avversaria di petto, pallone incollato alla testa per qualche secondo e, per uscire da una marcatura feroce alle spalle, sombrero ‘al contrario’ e girandola sul difensore, impietrito. Corre in volata solitaria. Ancora un dribbling secco su altri due avversari a ostacolarlo prima del vis a vis con il portiere: finta a destra – portiere a sedere – e via verso la porta spalancata. Non calcia, aspetta l’arrivo del suo numero 9 che, da due passi, spinge il pallone in rete. Alessandro, 15 anni a gennaio, lo scorso 11 ottobre ha deciso di folgorarmi così, dando un senso a quella mia presenza casuale in gradinata in una freddissima serata autunnale.
«Non è possibile, no, no, non è possibile» mi ripetevo inebetito durante tutta la partita. Continuavo a vedere quel ragazzo incantare me e una ventina di spettatori (padri inclusi) con giocate mai viste in un campionato regionale allievi: «Al termine del match mi faccio avanti, devo conoscere la storia di questo numero 14 così talentuoso». Ormai è un soliloquio continuo il mio. Aspetto che esca dagli spogliatoi e gli vado incontro, con lui c’è il padre che, dopo le dovute presentazioni, mi lascia conoscere Alessandro: «Hai davvero un gran talento – mi rivolgo al ragazzo-, e i tuoi compagni ti adorano, prendono tante botte in campo per te! Per loro sei un leader…».
Mi interrompo un attimo nel concitato parlare vedendo Alessandro stranamente timido e imbarazzato, non più sicuro e fiero come lo avevo ammirato con la palla ai piedi in campo. «Dovrai essere il beniamino di tutti i tuoi amici anche a scuola immagino, vero?», faccio per sciogliere la timidezza del ragazzo. Ancora non so, invece, di aver aperto un vero e proprio vaso di Pandora.
«Beh, – risponde Alessandro – in realtà..in realtà non è proprio così: a scuola non ho molti amici – abbassa la testa portandosi la mano alla testa -, anzi, potrei dire che ne ho pochissimi. Ma va già molto meglio adesso rispetto all’inizio dell’anno eh – si affretta a precisare – , prima non ne avevo nessuno proprio perché..».
Alessandro si ferma all’improvviso guardando il padre in cerca d’assenso; Gino – il papà – sorridendo incoraggia il figlio: «Non c’è da vergognarsi Ale, anzi il contrario. Sii fiero di quello che sei!». Rimango per un attimo di gesso, non comprendendo bene cosa padre e figlio si stiano dicendo, a cosa alludano. Alessandro coglie il mio imbarazzo e continua: «Scusami, ma mi è venuto un attimo da ridere quando mi hai dato del leader: a scuola i miei compagni non la pensano come te, si divertono a chiamarmi ‘sfigato patentato’, ‘mezzo uomo’, ‘fallito’ e tante altri bei titoli d’onore – ride di gusto Alessandro mentre io rimango allibito -, ma questo accadeva fino a qualche settima fa. Ora è tutto diverso, fortunatamente direi». «Scusami Alessandro – balbetto per l’imbarazzo -, ma ti stai riferendo al fatto che, in qualche modo…cioè, in sostanza, mi stai dicendo che sei vittima di bullismo a scuola, tu?!»
“Ti sembra incredibile, vero? Ma i miei coetanei sono molto superficiali: essere un ragazzo educato, che sta al suo posto in classe e fa, addirittura, i compiti – qui Alessandro ride ancora più fragorosamente – sembra ti assicuri il privilegio di essere continuamente preso in giro..bullizzato. Lo chiamano così, sì, bullismo, io invece lo definirei solo ‘idiozismo’». Rimanendo impietrito non solo per il racconto, ma soprattutto per il modo divertito con cui Alessandro lo racconta, riesco appena a chiedere: «E tutto questo a te..diverte così tanto? Forse perché hanno smesso di angosciarti, finalmente?».
“Rido per come sono riuscito a uscirne via e a guadagnare il loro rispetto: dopo più di due mesi di inagibilità, finalmente la palestra è stata riaperta qualche settima fa a scuola. Verso la fine dell’ora di educazione fisica il prof ci ha concesso 10 minuti di libertà, che equivale a dire: “Giocate a calcio!”. Inutile dire che nel fare le squadre io sono stato scelto per ultimo: “Il pelle e ossa lo prendete voi”, “No no, sto fantasmino iellato è tutto vostro”. Finite le chiacchiere – continua raccontando Alessandro -, si è iniziato a giocare e, con la palla tra i piedi, ho iniziato a ‘parlare’ io. Credo siano stati i 10 minuti più brutti della loro vita – sogghigna Alex -: il ‘mingherlino sfigato’ ai loro occhi ora era un “Campione, abbiamo un campione in classe ragazzi!”.
Da allora – rsegue Alessandro – mi hanno lasciato in pace, cercando anche di fare i grandi amici. Ecco perché rido, e lo faccio amaramente: se io non avessi saputo giocare magari, a quest’ora, ero ancora lì ad essere maltrattato. Il calcio alla fine mi ha salvato dal bullismo, certo..ma chi apparentemente non spicca per qualche abilità particolare, come deve fare, rimanere a vita vittima dell’ ‘idiozismo’?”
Saluto Alessandro ringraziandolo per la sua storia che “dovresti scrivere Giova: come me ce ne sono tanti altri là fuori..”.
Pensando di intervistare un giovane talento, ho scoperto di parlare invece a un grande piccolo uomo. Potrei raccontare un giorno la sua storia, quella di “Alessandro, il ragazzo che ha dato un calcio al bullismo”.