«Quando per la prima volta sono arrivato a Potenza, accarezzando l’erba del Viviani, non potevo ancora immaginare l’amore, così grande, che sarebbe nato tra me e la città».
Sebastian ne è ormai convinto: un amore vero, viscerale, lo riconosci subito, sin dai primi attimi in cui incroci lo sguardo dell’‘amata’. È una questioni d’istanti:
«L’anno scorso – si confessa Breza – nella prima partita di campionato contro il Gragnano – Serie D 2018/‘19 -, gli spalti che avevo visto vuoti durante gli allenamenti, erano gremiti; la curva che immaginavo sarebbe stata quasi deserta, era invece stracolma di variopinti vessilli rossoblu. E la gradinata? Anche quella pienissima, festosa, chiassosa. Entrando in campo, davanti a tutta quella gente, ebbi un sussulto, quasi di timore: subito, però, il fremito si trasformò in euforia, l’ansia per la ‘prima’ difronte a quella platea tanto calda divenne, da quella partita in poi, fino a oggi, la mia carica in più, l’arma decisiva per affrontare la famosa ‘solitudine dei numeri 1’».
Per Sebastian ‘essere’ un portiere, è stata da sempre una questione ‘familiare’, un destino già scritto dal quale il portierone canadese si è fatto dolcemente sedurre, con la complicità di papà Pier:
«Diciamo che – sorride il numero 1 rossoblu – lo statuto di portiere non è stato mai messo in discussione a casa: il mio papà giocava a calcio come portiere e, si sa, un figlio prende iil padre sempre come riferimento, come modello da seguire. Eppure da noi, in Canada, il calcio non è lo sport più popolare, come qui in Italia: il primo regalo che desidera ogni bambino canadese non è certo un pallone per giocare con gli amici per strada – com’è qui – ma è lo Stick, per giocare a Hockey. Anch’io ho iniziato da lì, dall’Hockey, sempre come portiere eh – sorride Sebastian -, il ruolo non è mai mutato!».
Se l’ ‘essere’ portiere, in Casa Breza, è stata sempre una dimensione naturale, originaria, e, per questo, scontata, il ‘diventarlo’ come professionista, ha richiesto a Sebastian di compiere una scelta, diremmo, obbligata: un biglietto di sola andata oltre oceano, con in mente un’unica direzione, l’Italia.
«Ho compreso subito – racconta Sebastian – che se avessi voluto trasformare quella pura passione, familiare e personale, in un lavoro a tutti gli effetti, avrei dovuto lasciare il Canada, per trasferirmi in un unico possibile posto, un luogo in cui un calciatore può crescere, in cui un portiere, soprattutto, può misurarsi coi propri limiti e superarli. Quel posto era l’Italia, la ‘patria dei portieri’».
Sedicenne, valigia in mano, la traversata oceanica ha significato un passaggio molto più che geografico e latitudinale: per Sebastian l’Italia, Potenza, sono i luoghi del cuore «Perché qui – continua il numero 1 rossoblù – ho imparato a essere uomo, nel senso di assumere le mie responsabilità, vivendo a distanza dai miei affetti più cari. Vivere qui, in Italia, ha rappresentato un test fondamentale per misurare quanto volessi ‘diventare’ portiere: quando rinunci alla famiglia, alla tua ragazza, agli amici, lasciati lì a casa, secondo me vuole dire che hai, dall’altro lato, un motivo ancora più grande, una passione ancora più motivante: essere portiere. Potenza in questo mio percorso è stata grandiosa: si è rivelata ‘madre’, accogliendomi come un figlio, mostrando quell’affetto incondizionato che mi ha fatto sentire di meno la nostalgia di casa; Potenza è stata anche un ‘Padre’, sì: come mio papà Pier mi ha introdotto alla passione dei ‘pali’, insegnandomi le ‘basi’, così anche il Potenza mi ha fatto crescere in maniera esponenziale, tanto nella tecnica individuale quanto nell’emotività, nella gestione umorale delle partite, che è un tratto fondamentale per noi portieri. Quest’anno, nonostante che abbia giocato meno, sento di essere cresciuto ancora di più dell’anno scorso, quando ero sempre titolare. La competizione – quella sana – in ogni ruolo, fa bene a te e alla squadra intera».
Un gigante di 1.96 di altezza; sguardo ‘di ghiaccio’, penetrante e pungente come le lande artiche del suo Quebec; aria da spaccone, simil guascone, al limite dell’irriverente.
Un abito che, mai come in questo caso, non fa il monaco, ma, nessuna sorBreza: Sebastian para, per il suo Potenza…per la sua ‘difesa’.