Si è svolta sabato 30 giugno 2018, a Potenza, presso la Sede Cestrim, la consueta assemblea programmatica di “Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, che ha richiamato e riunito i presìdi di tutta la Basilicata.
In seguito all’invito della Segreteria Libera Basilicata, associati e simpatizzanti si sono ritrovati per dibattere e affrontare problematiche e difficoltà riscontrate nel rapporto con il territorio lucano, oltre che per riflettere su ciò che si è fatto, ma soprattutto, su quanto ancora c’è da fare, e infine per sottolineare la necessità sempre maggiore di “essere sentinelle del malaffare ed esempi di scelte coraggiose che contrastano i sistemi criminali”.
Il raduno si è aperto con una relazione introduttiva di Don Marcello Cozzi, il quale ha riflettuto sulle difficoltà e le sfide di Libera Basilicata per poi dare il via a un importante confronto tra i presenti sulle medesime tematiche.
Don Marcello ha avviato la riflessione segnalando le sue maggiori preoccupazioni circa il destino dell’Associazione, tra le quali è forte il timore che Libera non stia facendo abbastanza per contrastare volgarità politica, vuoto etico e culturale, chiusure disumane e soprattutto una memoria che sembrerebbe ormai sbiadita.
Don Marcello ha ricordato le ardue lotte compiute in passato per riportare a galla la verità sul giallo di Elisa Claps, e poi le battaglie contro gli abusi di potere, le verità non dette e tutte le forme latenti di mafia che si infiltrano nel nostro sistema politico e giudiziario. Ha offerto esempi di speranza dalla cronaca: la scoperta di un cadavere nel bosco di Lauria, probabilmente associabile a Mariano Di Lascio, scomparso di recente, e il ritrovamento di un teschio appartenente a una donna morta circa 35 anni fa, che farebbe pensare a Maria Antonietta Flora.
Don Marcello, mostrando un profondo senso autocritico, si è soffermato soprattutto sugli insuccessi dell’Associazione, citando quei processi giudiziari calati nell’alone del mistero e del silenzio, tra cui Toghe lucane e Toghe lucane bis, le attuali difficoltà nel commemorare Ottavia De Luise a Montemurro, nel contrastare il giudizio affrettato e tranciante della gente, la mancata informazione e divulgazione dell’immensa rete di narcotraffico in Basilicata, tanto grande da aver coinvolto cinque operazioni antidroga negli ultimi anni.
Ciò che colpisce maggiormente Don Marcello è il deprezzamento della memoria. Secondo il sacerdote: “la memoria non è semplicemente guardare indietro, essa rappresenta il punto di partenza per andare avanti; la mia preoccupazione è proprio che nel non voler guardare indietro, ci siamo fermati nel presente e non guardiamo più al futuro.”
Il richiamo di Don Marcello non è sterile, infatti non mancano spunti di riflessione volti a sostenere l’azione, tra cui l’invito alla cittadinanza attiva, al contatto reale con persone e comunità, al recupero della memoria, alla costruzione di un futuro migliore a partire dalla consapevolezza di un presente inadeguato. Don Marcello invita Libera e tutti i presenti, così come recita il passo biblico in cui Dio parla al profeta Ezechiele, a profetizzare sulle ossa inaridite, a trasformarle e farle nuove con la forza di argomentazione della vita, del ricordo del passato e della fiducia nel futuro.
Nel corso del confronto si dono susseguite numerose e dense testimonianze, che hanno restituito il “vissuto” di alcuni presìdi lucani, sempre a partire da una profonda e ravvicinata conoscenza di luoghi e comunità.
Le opinioni emerse sono state molteplici e varie, e in generale, senza entrare nel merito dei singoli interventi, i presenti hanno riconosciuto che Libera si trovi a dover fronteggiare grandi e complesse sfide, davanti alle quali fiducia ed entusiasmo talvolta vacillano.
Libera, si è osservato, non dovrebbe essere considerato un “impegno” nel senso letterale del termine: legalità, giustizia ed equità dovrebbero piuttosto essere incise nel DNA di ciascuno, quali “voci di dentro”, pulsioni interiori che non si possono respingere né simulare. Eppure sembra che queste voci siano state messe a tacere, che l’identità dell’antimafia si stia dissolvendo, che la memoria abbia smesso di raccontarsi e che l’essenza stessa di Libera sia stata scardinata.
Non mancano, naturalmente, solidi messaggi di speranza, soprattutto dai più giovani che hanno accolto con passione e tenacia la battaglia di Libera, immaginandola come un vero e proprio stendardo, un modus vivendi che non si deve tradire e un modo di essere che non si può falsificare. I giovani chiedono a gran voce che rassegnazione, delusione e sfiducia siano bandite, innalzando il credo della giustizia, la lotta sociale e quella egualitaria.
La battaglia di Libera non termina qui e probabilmente non finirà mai, è una lotta complessa alle ingiustizie, alle prevaricazioni; è uno scontro, non una guerra, perché la guerra contro l’illegalità la si combatte tutti i giorni, scegliendo l’onestà piuttosto che il malaffare, il clientelismo e il familismo. Libera, dal canto suo, si propone di impegnarsi maggiormente, di ascoltare più profondamente le voci del territorio, di impegnarsi nelle scuole con l’educazione alla legalità e di combattere con ardore ogni giorno le sue battaglie. Perché non vincere non può significare abbandonare il fronte, perché spesso anche quelle che consideriamo sconfitte possono trasformarsi nel germe della legalità: se Libera è ancora viva, infatti, ciò significa che Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Peppino Impastato e molti altri non sono morti invano, ma ci hanno trasmesso valori in cui credere, armi con cui combattere e stendardi multicolori da innalzare.
Aurora Alliegro