Capitolo I: Esaltazione.
L’apoteosi, il culmine..un’altitudine massima dalla quale – dimenticata la fatica per raggiungere la vetta – si può godere di una vista estatica, la quale ripaga, istantaneamente, di tutti gli sforzi messi in campo per raggiungerla.
Così, Il 29 Aprile scorso ogni singolo giocatore e addetto dell’S.C. Potenza, al momento del triplice fischio finale, ha potuto sperimentare la vera apoteosi, goduta nell’aver scalato la D-ifficile vetta del campionato nazionale dilettanti: la vista spettacolare degli 8.000 (record stagionale) riversatisi sul manto erboso del Viviani. Chi avesse avuto – prima di Domenica – ancora qualche riserva sull’amore ardente di una tifoseria per i colori rossoblù (“è mai possibile che una Serie D sia vissuta così entusiasticamente dai cittadini di Potenza?”, la frase pronunciata sempre più spesso dai nuovi e increduli atleti della squadra), l’ha definitivamente vista sgretolarsi di fronte all’ondata pacifica e coinvolgente degli spettatori che, da ogni settore, hanno valicato cancelli e inferriate pur di festeggiare, da co-protagonisti, l’impresa calcistica. Co-protagonisti si, senza dubbio: il costante e crescente coinvolgimento dei supporters, le grida di sostegno dagli spalti ad ogni manovra offensiva della squadra in attacco, sono stati gli elementi decisivi per condurre la C-avalcata verso la meta tanto agognata. Di questo apporto, tanto decisivo, sono stati subito consci, per primi, proprio i calciatori del Potenza: nessuno di loro si è infatti sfilato dall’abbraccio caloroso del tifoso di turno che gli veniva incontro; nessuno è sgusciato via negli spogliatoi, frettoloso – come si vede spesso nel calcio che “conta” -, ma ognuno ha dato tutto se stesso (letteralmente) in quel momento di inebriante festa collettiva. Saranno stati gli occhi infuocati di passione dei tifosi, sguardi che avranno fatto breccia in atleti e presidenti, convincendoli a vivere quei momenti unici, di misurata follia, senza alcuna reticenza, lontani da manierati atteggiamenti Vip. Era lo spazio, magico, in cui godere tutti insieme della vista che la vetta appena scalata offriva, superba. E si sa, gli occhi non mentono mai.
Capitolo II: Partecipazione
“Siamo la curva più bella d’Italia, ragazzi!”. Come essere in disaccordo? La Curva Ovest Domenica era un’istantanea mozzafiato. Dalla coreografia iniziale con i colori rossoblù a fare da cornice al leone troneggiante nel mezzo, fino alla miriade di stendardi, striscioni, bandiere sventolate senza sosta: era tutto un proliferare di colori e suoni unici, una policromia accecante. Un Monet avrebbe apprezzato, tratto ispirazione en plein air. Con la curva, anche la tribuna e la gradinata hanno offerto uno spettacolo senza precedenti, perché mai, prima di questa stagione, era salita così la febbre rossoblù, tanto da ‘contaminare’ persone di diverse sensibilità sportive. Se, infatti, il Viviani furoreggiante nella gara casalinga contro il Taranto rappresenta il frutto di una ‘malattia’ salita alle stelle, i giorni precedenti il match, quelli della quotidianità apparentemente serena, sono stati il seme da cui è sbocciato il florilegio coreografico da stadio. È per strada, nei pressi di tipografie e negozi sportivi del capoluogo che ciascuno dei potentini ha mostrato la voglia di partecipare, in maniera ‘personalizzata’, alla festa popolare: ognuno ha voluto creare un proprio slogan o motto da imprimere su una maglietta, una sciarpa o striscione per poterlo poi esibire allo stadio. È in questa volontà di esserCi, con il tocco personale sì, ma anche collettivo e, per ciò stesso identitario, che, grazie al calcio, un intero popolo ha sentito di poter essere più unito, più libero, più potentino. E di esserlo con orgoglio.
Capitolo III: Impegno e serietà
In tutti (o quasi) gli slogan immortalati Domenica su t-shirt, stendardi & co., la parte di padrona indiscussa l’ha fatta la presenza della lettera “C”, presente in mille e diversi motti, giochi di parole esilaranti. Il “fattore C” dunque – da non confondere con il più famoso ‘cugino’ “fattore fortuna” – è stato l’indiscusso protagonista nella scelta dei tifosi per consacrare, con guizzi letterari fantastici, il proprio tifo e sostegno alla squadra. Ma, tolto il più diretto e spontaneo collegamento all’impresa di aver conquistato la nuova categoria – la C appunto -, tale “fattore C”, istantaneamente rimanda a un’altra “C”, quella del presidente Caiata. Dobbiamo convenire, essere onesti, dare a Cesare quel che è di Cesare (e le “C” davvero non sembrano esaurirsi!): se la città tutta è imbandita di colori rossoblù, se ogni potentino – oltre agli irriducibili di questi anni – si è riscoperto tifoso sfrenato affollando il campo sportivo Viviani, se tutti gli addetti ai lavori, i giornalisti che da sempre hanno seguito il Potenza sino alle disfatte e ai misfatti del campo (commuovente Alfonso Pecoraro in cronaca) hanno finalmente guadagnato ossigeno per le proprie macchine da scrivere, e se, finanche chi sta scrivendo – sbarbato giornalista (parolone!) -, trae una rinnovata linfa e passione nello scrivere e celebrare le gesta di questo Potenza, ciascuno lo deve al “fattore C-aiata”. Lontani dalla bieca piaggeria, ribadisco: a Cesare quel che è di Cesare; a Caiata quel che è di Caiata. Moltissimi, nel settembre scorso post Cavese-Potenza, avranno sentito la grinta del Presidente in un’intervista “tosta”, e da lì, ne sono certo, la maggior parte dei sostenitori avrà gioito pensando d’aver trovato, finalmente, il giusto stratega per risorgere dalle ceneri dilettantistiche sino alle categorie che più competono alla piazza del capoluogo di regione. Accanto alla grinta e la smania del condottiero, infatti, si è rivelata, altresì, la capacità del leader che, con competenza, impegno e serietà, ha saputo ricalibrare in pochissimo tempo le sorti di una società che aveva perso timoniere e rotta, che si era smarrita in alto mare. La pervicace convinzione – e qui l’esperienza imprenditoriale sarà stata fondamentale – di affidare ogni ambito del Potenza Calcio a chi avesse offerto maggiori competenze e garanzie di successo, ha reso possibile l’orchestrazione perfetta di una Società che, dalle questioni squisitamente di campo sino a quelle manageriali/dirigenziali, si è mossa unita come un pugno, perfetta e armoniosa come i sincronismi meccanici dell’antica arte orologiaia. E al rintoccare del fischio finale di Potenza – Taranto, non poteva risuonare che un’ora, quella della vittoria.