La ricerca di idee innovative da parte dei giovani che si avvicinano al mondo del lavoro, porta molto spesso i “cervelli” ad emigrare in altre regioni più “fertili” o addirittura all’estero indebolendo il tessuto economico lucano e aggravando la crisi. Si sente molto spesso dire che non c’è lavoro, perché le fabbriche chiudono, la pubblica amministrazione non assume, le piccole aziende licenziano per far fronte alla tassazione. Quindi parto, frequento l’università fuori e poi mi fermo altrove a lavorare .E così la Basilicata si svuota, s’impoverisce, muore. Ma per chi continua a vivere nonostante tutto? Per chi è legato alla sua terra? Per chi non può permettersi di andare fuori? Grazie a progetti regionali, incubatori d’idee, start-up e quant’altro chi ha idee geniali riesce a trovare uno sbocco lavorativo e/o sussidi temporanei. Queste soluzioni risolvono ben poco, basti vedere il tasso di disoccupazione lucano e i tanti giovani che sfiduciati passano il loro tempo girovagando. Ma allora che fare? Non esiste nessuna soluzione all’orizzonte? E’ tutto così buio? Assolumente No! Perché in Lucania vi è un popolo di “duri”, di gente che si alza prestissimo per raggiungere dai paesi limitrofi le scuole e i posti di lavoro, con il ghiaccio, la neve, le strade dissestate e l’ostruzionismo dell’amministrazione. Gente che apprezza le piccole cose: la tradizionale sagra in paese, un caffè con gli amici, una passeggiata in centro. Quindi la RISPOSTA, qual è? La ripresa è nella nostra semplicità, nelle nostre tradizioni, nel riscoprire antiche professioni, dal calzolaio al parrucchiere, dal barista al saldatore, dall’elettricista al fotografo. La Basilicata è terra di piccola imprenditorialità e antichi mestieri, proprio nella riscoperta di queste attività si può trovare una chiave vincente per aprire nuovi orizzonti lavorativi e sociali. Di fatto, se si cominciasse a riscoprire, a far rivivere questi mestieri talvolta sottovalutati si darebbe ai giovani una nuova opportunità di costruirsi un lavoro. Ma per far ciò si deve stimolare il recupero di queste professionalità indirizzando i giovani verso tali scelte che restituirebbero nuova linfa all’economia ed al settore terziario locale. La parola “mestiere” evoca nelle nostre menti una serie d’immagini che possiamo collegare alla manualità, alle botteghe artigianali, a lavori eseguiti da veri e propri maestri che si esprimono con gesti antichi e spesso inimitabili. Non tralasciamo il fatto che un mestiere nasce soprattutto dalla fantasia, dalla passione e dall’amore di chi lo esercita. Oggi c’è una corsa all’innovazione, alle nuove start-up informatiche ma il bisogno di risparmiare denaro grazie ad abili artigiani che riparano ciò che si rompe, di prodotti a km0 e rapporti locali resta tuttavia predominante.
Il che non significa tornare indietro, de-evolversi, ma prendere l’esperienza del passato e adattarla in una chiave più moderna alle esigenze attuali. Ad esempio, una sartoria web, botteghe dove si crea bigiotteria artigianale e si vende su canali internet, falegnami, saldatori e fabbri che coniugano l’arte con l’artigianalità. Sottolineo che purtroppo anche le professioni non “antiche” ma che provengono dalla scuola pubblica stanno scomparendo perché la scuola si è troppo indebolita e sforna ogni anno ragionieri, geometri, periti, programmatori informatici ecc. con scarsa formazione.
Marina Riviello