A qualche mese dal “caso linguistico” nazionale che ha visto protagonisti un’insegnante elementare di Ferrara e il piccolo Matteo, suo alunno frequentante la III classe della Scuola Primaria “Marchesi” di Coppara (Fe), “inventore”, secondo le cronache, dell’aggettivo “petaloso”, poi scoperto già usato dal botanico James Petiver nel suo trattato di botanica “Centuriae Decem Rariora Naturae (1693-1703) e, in epoca recente, finanche da Michele Serra, nel 1991, sulla rivista “Panorama” nel suo articolo “Il festival dalla A alla Z”: << I fiori di Sanremo sono iperrealisti: troppo petalosi e colorati (…) >>, vale la pena ricordare la risposta ex cathedra fornita dall’ Accademia della Crusca in data 16 febbraio 2015. Testualmente, nella pregiata, autorevole missiva si dice: << (…) Perché entri in un vocabolario, bisogna che la parola nuova non sia conosciuta e usata solo da chi l’ha inventata, ma che la usino tante persone.>>
Una risposta tanto accademica, quanto ovvia e scontata, quella dell’alto “pulpito”, che forse non ha giovato molto alla sua fama, dando la stura a facile ironia. Tuttavia, vale la pena ricordare che la “produttività linguistica” dei bambini in età scolare è un fatto naturale che investe la sfera psico-cognitiva del mondo infantile. La lingua italiana, flessiva e, al contempo, introflessiva, agevola, poi, tale “fenomeno” (bello-bella, uomo-uovo; collo-pollo; papa-papà; cencio-cencioso; pelo-peloso, succo-succoso etc.).
A chi di noi non è mai capitato, in tale età, di deformare parole già esistenti in modo da rappresentare dei veri e propri coni lessicali?
Anche i dialetti sono ‘produttivi’ e possono alimentare la lessicografia della lingua ufficiale. Ad esempio, prendiamo il caso dell’interiezione ‘ciao’. Ebbene, forse non tutti sanno che l’etimologia di questo lemma risale al dialetto veneziano ” s-ciao, s-ciavo”, cioè (sono) suo schiavo: forma di cortesia che significava “per servirla; sono a sua disposizione”.
E a proposito di dialetti, ma senza importunare l’Accademia della Crusca, la famosa frase ‘galeotta’ di Matteo: <> ci offre lo spunto per parlare, a proposito di parole, di un’interessante “Grammatica del dialetto di San Fele” (EditricErmes) del prof. Alfonso Ilario Luciano, ex Dirigente scolastico di liceo classico.
Il testo, pubblicato nel 2004, è introdotto dal prof. Franco Fanciullo, ordinario di glottologia presso l’Università degli Studi di Torino, che spiega: <>.
In buona sostanza, si offre un ricco corollario di informazioni etimologiche riferite non solo al dialetto sanfelese, ma in senso lato a tutti i dialetti lucani. Partendo in modo naturale, dalla legenda dei suoni, ovvero dai tratti soprasegmentali e dalla fonologia secondo il cosiddetto “Codice internazionale IPA”, lo stesso applicato nei dizionari bilingue, attraverso parole ”simbolo” conosciute, come esempio di assonanza fonetica, il lettore viene guidato, anche senza l’ausilio di supporti audio, alla corretta riproduzione sonora dei suoni del dialetto sanfelese, abbastanza simile ad altri dialetti meridionali.
La stretta ascendenza latina e parentela greca del dialetto sanfelese, e degli altri similari, appare chiara ed inequivocabile, tra gli altri, nel lemma ‘laghёnё’ (pag. 96), la cui etimologia viene così descritta: s.f. pasta a sfoglia per le lasagne, tagliatelle caserecce (lat. laganu (m)). Particolarmente acconcia, a proposito, la citazione di Orazio, Sat. 1,6,115: Inde domum me / ad porri, ceci et ciceris refero laganique catinum “Poi torno a casa, dove mi aspetta un bel piattone di porri, ceci e lasagne”.
I riferimenti glottologici sono notevoli e il linguaggio metalinguistico è di registro alto. Come, ad esempio, a pag. 10, dove si spiega che u = w (semiconsonante velare: truwà, ‘trovare’); z’/dz/ (affricata alveolare sonora ‘azzurro’, ‘zanzara’). Questa ‘grammatica’, inoltre, dedica ampie pagine alla morfosintassi, ai prefissi, suffissi etc. facendo un’analisi comparata italiano-dialetto di tutti gli elementi grammaticali: pronomi, aggettivi, verbi, avverbi, locuzioni etc. arricchita da spiegazioni ex cathedra di termini tecnici come: anaptissi, epentesi, metatesi, aferesi, raddoppiamento fonosintattico, complemento etico, sentenziosità icastica etc.
Per una migliore comprensione del dialetto sanfelese e, in senso lato, di quello meridionale, il testo, nella parte centrale (pagg. 75-79) è arricchito da una breve serie di “frasi nominali” a carattere paremiologico che <>Ne abbiamo estrapolato qualcuna tra le più significative, di cui la prima marcatamente maschilista :
Mala nuttuatё e ffigglia femmenё “la nottata è stata dolorosa, per le doglie, ed è nata, purtroppo, una bambina”;
Ferbarё curtё e amarё “febbraio è il mese più corto, ma il più inclemente”;
Liettё fattё e zzita curquatё “ha trovato il letto rifatto e la sposa coricata” (si dice dell’uomo che ha contratto un ottimo matrimonio);
Casa nghianё: puorcё e ccanё “se la casa è a livello stradale, vi entrano (tutti, anche) porci e cani”;
A landernё mmanё a u cecatё “si dà la lanterna al cieco” (cioè a chi non sa che farne);
U meggliё canё, a pescia catenё “al miglior cane tocca, purtroppo, la peggiore catena”.
Insomma, non abbiamo a che fare con un semplice manuale di dialettologia spicciola, bensì con uno strumento scientifico di alto valore culturale, scritto con passione, conoscenza profonda della materia e cognizione di causa, frutto di lunghi studi e ricerche sul campo. In ultima analisi, possiamo affermare che, per la sua completezza e ricchezza, questo libro, non molto ponderoso, di 152 pagine, facile da consultare, anche in modo ‘random’ , meriterebbe una maggiore diffusione e adozione in campo scolastico di ogni ordine e grado: gioverebbe sicuramente a discenti e docenti studiosi di linguistica italiana.