La sede dell’Aula Magna dell’Università Degli Studi Della Basilicata è stata protagonista nel mese di Novembre di una conferenza dal titolo “ Ambiente, Petrolio e Sviluppo ˮ che come si può in parte evincere dal titolo stesso dato all’incontro è stata un’occasione per discutere pubblicamente delle problematiche legate alla gestione dei pozzi petroliferi in Basilicata, in particolare della possibilità di fare dell’oro nero un autentico volano di sviluppo e crescita economico-sociale del territorio lucano.Tra coloro che hanno preso parte al dibattito, il Vice Presidente nazionale di Legambiente Edoardo Zanchini, l’assessore regionale all’Ambiente Aldo Berlinguer e il Presidente dei Giovani di Confindustria Basilicata, Francesco D’Alema, oggetto di una triplice intervista.
In questa terza e ultima anticipazione dell’intervista, il punto di vista dell’Assessore Berlinguer:
Assessore Berlinguer come nasce la sua proposta di Zona franca energetica in Basilicata? La proposta nasce da tre constatazioni. La prima consiste nel rilevare come i paesi europei si sono organizzati, a fronte di un fisco più tenue e meno vessatorio di quello italiano, con delle zone particolarmente vantaggiose sul piano fiscale e con le quali oggi è obiettivamente difficile competere, specie per quelle aree già periferiche, scarsamente infrastrutturate, a domanda debole, e che però hanno al contempo gli stessi se non maggiori costi fiscali, come quelli del lavoro e quelli energetici, e che quindi fanno le maggiori spese di una tale concorrenza fiscale europea. Per non parlare della situazione al di fuori dei confini europei. Se noi guardiamo al bacino del Mediterraneo, a fronte dell’intensificazione degli scambi commerciali che si avrà anche grazie al raddoppiamento del canale di Suez, dove passa circa il 20% del traffico marittimo globale, i paesi che si trovano nella traiettoria di questi traffici si organizzano con aree logistiche, aree di portualità, tutte contrassegnate da un dato costante, la fiscalità bassissima. Allora, a fronte di questo scenario globale, europeo ed extraeuropeo, credo che la Basilicata, non essendo geograficamente situata al crocevia dei traffici commerciali più importanti, ed essendo invece un’area periferica, carente di infrastrutture e con costi di trasporto elevati, per di più con un fisco che non fa sconti a nessuno e con cui si deve necessariamente fare i conti, debba prendere delle contromisure.
La seconda constatazione è che siamo la regione che da sola produce oltre il 70% dell’intero greggio nazionale e quindi siamo i maggiori produttori di idrocarburi del paese.
La terza è che siamo pochi, una popolazione di circa 57 abitanti a km quadrato, penultimi in Italia, dopo la Valle d’Aosta, per ragioni intuibili. Si pensi che la Campania, con una popolazione complessiva di circa sei milioni di abitanti, ha una media di quasi 300 abitanti a km quadrato. Il che testimonia quando sia fallace la categoria del “Sud”, che contiene realtà estremamente diverse tra loro.
Se ciò fosse possibile lo Stato perderebbe circa 80 milioni di euro l’anno, circa il 10% del gettito fiscale che esso introita con il settore petrolifero. Fino ad un anno o due anni fa le estrazioni incubavano sino ai 3 miliardi di euro, ma a parte il baratro del brand la cifra effettiva scende vertiginosamente se si considerano le tasse che ruotano attorno al settore: l’Ires al 27, 5%, l’Iva, la Robin Tax, il Cuneo fiscale in riferimento ai lavoratori del settore, ci sono le concessioni e non ultima l’accisa sui consumi. Mettendo tutte queste voci, il gettito complessivo gira mediamente allo stato attuale delle cose intorno al miliardo d’euro. In una tale scenario, togliere l’accisa non genera danno per lo Stato, se non in misura alquanto ridotta e al tempo stesso massimizzo i benefici per i lucani. Con quali strumenti? Ciò sarebbe possibile con una leggina nazionale, a cui sto lavorando che prevede uno sconto d’accisa per i residenti, persone fisiche e per le società con sede legale ed operativa in Basilicata. Tale provvedimento avrebbe, con un’efficacia immediata, un beneficio diretto a imprese e cittadini. Una misura che favorirebbe sia la coesione sociale che lo sviluppo economico – cosa rara considerato che di solito si mira soltanto ad una delle due opzioni- e che inoltre non discriminerebbe tra chi è patentato e chi non lo è, perché sarebbero inclusi anche il gas ed il combustibile da riscaldamento, e non discriminerebbe tra comuni si e comuni no, salvo fatti quelli che non vogliono aderire, e avrebbe come particolarità ultima ma non meno importante quella di arrecare un beneficio diretto per cittadini ed imprese senza passare per i bilanci pubblici, spese correnti, eventuali dissesti, patto di stabilità, trattandosi di royalties compensative. Si supererebbe l’attuale paradosso che vede i cittadini lucani pagare per il consumo di idrocarburi cifre uguali se non superiori a tanti altri cittadini italiani, che vivono su territori che non hanno le stesse estrazioni sui territori di residenza.
Come si tradurrebbe concretamente l’elargizione di queste royalties compensative?
Non si tratterebbe di royalties secondo il vecchio paradigma. Tutti gli esercenti della distribuzione di carburante e di gas avrebbero in bolletta l’eliminazione della quota nazionale, una delle due quote che compongono attualmente l’accisa, e che rappresenta la quota variabile su base regionale, a differenza di quella comunitaria che è invece la parte fissa. L’effetto pratico per i lucani sarebbe quello di potersi recare ai distributori di carburante, muniti di una card che permette di fare rifornimento ad un prezzo defalcato della quota nazionale, ridotta a zero.
Come è stata accolta sin ora la proposta dai comuni lucani?
La proposta è già stata discussa e ampiamente partecipata. Ben 70 comuni della Provincia di Potenza hanno già deliberato in consiglio comunale la sottoscrizione del progetto. Ci sono comuni come Anzi e Palazzo San Gervasio che non hanno aderito, e spero che ci sia occasione per spiegare anche lì meglio di che cosa si tratta. Ho infatti l’impressione che si sia confusa questa proposta con una misura volta ad incentivare e moltiplicare le estrazioni, quando in realtà essa è indirizzata ai consumi di idrocarburi e non ha minimamente a che fare con la produzione. Nel materano fin ora 18 comuni sui 31 totali hanno deliberato a favore della proposta, e quindi sono 13 quelli che si sono presi tempo per studiarla. Vorrei sottolineare tre aspetti fondamentali, ossia che l’accisa è un’imposta cattiva ed ingiusta. Lo è in primis perché indiretta, e come ogni imposta indiretta se non è intelligente e selettiva è ingiusta, perché colpisce tutti in maniera indiscriminata, anche chi non ha soldi da dare. Dunque se io tolgo l’accisa, opero in direzione di una maggiore equità sociale, perché l’accisa colpisce particolarmente soggetti come il disoccupato o il precario. Pagare l’accisa a Potenza come a Milano non è la stessa cosa perché se ho il petrolio, non è corretto che io abbia per il suo consumo gli stessi costi di chi il petrolio non ce l’ha. Il secondo aspetto risiede nell’interrogarsi sulla natura stessa di un’accisa, che dovrebbe essere quella di una tassa versata in cambio di un servizio o infrastruttura di cui beneficio. Se io pago un’accisa ma in cambio ma non ricevo l’infrastruttura la questione si riduce a fare una donazione. Basta pensare alle strade di cui dispone la Basilicata non paragonabili ad esempio a quelle della Lombardia. Anche se fosse un’imposta diretta, basata cioè sulla capacità contributiva sarebbe comunque parzialmente ingiusta, perché è evidente che fare ricavi qui in Basilicata è molto più complicato che in Lombardia, che pure teoricamente partirebbe svantaggiata in un eventuale confronto per i maggiori costi di produzione. Terzo ma non meno significativo aspetto, è il dopo-petrolio, ossia dell’estensione dei benefici fiscali derivanti da una detassazione del prodotto petrolifero anche a tanti altri settori della filiera produttiva, che hanno tutti costi energetici legati alle loro attività. Non è una proposta che nasce quindi dalla mattina alla sera ma è stata ampiamente meditata, ragionata e che intende emanciparsi dalla nuova cultura del petrolio. Anche perché il petrolio è destinato ad esaurirsi
Cosa ne pensa delle critiche del mondo ambientalista e della questione salute messa a rischio dalle estrazioni petrolifere?
La mia opinione è che sulla vicenda petrolifera vi siano dei nodi non ancora risolti. Il primo nodo è indubbiamente la scarsa conoscenza delle materie petrolifere, per far fronte alla quale in questi giorni è stato inaugurato un master universitario in idrocarburi e riserve, al cui concepimento ho collaborato personalmente, con il quale ci si propone di innestare percorsi formativi ad hoc, che permettano di favorire la diffusione di un sapere tecnicamente equipaggiato, e non superficiale né di natura puramente empirica. Avere delle risorse senza sapere di che si tratta è evidente che non fa bene a nessuno. Per quanto riguarda il tema della protezione ambientale, esso si declina in maniera scontata. Per cominciare nessuna produzione è esente da impatto ambientale. L’upstream petrolifero ossia l’insieme di attività estrattive, che sono quelle che ci caratterizzano, ha inoltre un impatto ambientale notevolmente più basso rispetto a quello del downstream riferito alle attività di lavorazione e raffinazione del petrolio. E di fronte all’evidenza non resta che arrendersi. Detto ciò la protezione ambientale e questo dato va sottolineato è stata nella nostra regione deficitaria, ed è chiaro che il cittadino non può essere contento né non diffidare tenuto conto anche della recente non esaltante cronaca che riguarda alcuni pezzi della protezione ambientale ( Arpab ). E’ necessario fare investimenti molto ampi sul tema partendo finalmente da una riforma della macchina amministrativa locale che non abbia debolezze strutturali. E’ quanto stiamo provando a fare con il nuovo corso dell’Arpab, e con l’istituzione che si spera di rendere effettiva in tempi rapidi di un osservatorio ambientale, un luogo di studio, elaborazione, diffusione e monitoraggio, che sia capace di far convergere e mettere a sistema gli sforzi ed il lavoro eccellenze quali l’Enea, il Cnr e la stessa Università.
Può il petrolio essere un volano di sviluppo economico e di crescita del dato occupazionale per la nostra regione, al di là della sua proposta relativa alla defiscalizzazione sul consumo di idrocarburi?
Essendo dominante l’upstream petrolifero il dato e le previsioni occupazionali relative al settore petrolifero sono decisamente ridotti in partenza, perché le attività estrattive non possono generare che un numero di posti di lavoro di gran lunga inferiore rispetto alle attività di raffinazione e lavorazione del petrolio, e dunque in confronto al downstream. Bisogna piuttosto rovesciare l’idea e la pratica in virtù delle quali lo sviluppo economico si fonda sulla filiera pubblica, perché questo impedisce all’economia di decollare. Vi è in Basilicata, troppa disparità tra una filiera pubblica grassa e una filiera privata eccessivamente bassa. Se non invertiamo la tendenza e si incentiva la filiera privata, chi ha enti li mantiene e lo stesso accade per chi ha spese pubbliche improduttive e personale in eccesso. La parte pubblica va snellita, ottimizzata ed efficientata, e ciò deve avvenire in sinergia con un incremento del mercato, perché l’amministrazione non può essere un factotum, e fare da arbitro, da regolatore, da imprenditore e via dicendo. Senza cambiamenti non vi è forma di vita possibile. Bisogna uscire dalla logica che ci si deve raccomandare per tutto e adeguarsi al mondo di oggi.
Crede che le amministrazioni regionali precedenti a quella di cui fa parte si siano giocate la partita con Stato e multinazionali in tema di royalties o si poteva/doveva fare di più?
Personalmente credo che nel complesso si sia fatto abbastanza, se si pensa che prima del 98’ qui non si vedeva una lira e che negli anni 30’ in Basilicata vi era un numero di pozzi anche maggiore di quelli attualmente sottoposti ad estrazioni. La situazione si è evoluta dal punto di vista ambientale ed economico a partire dalla seconda metà degli ani 90’. Per capire ciò occorre chiarire un concetto, ossia che le royalties sono fondi che l’impresa gira allo Stato, che a sua volta elargisce soldi all’amministrazione locale mettendo nel bilancio di spesa quanto versato. Ciò accumula da un lato la spesa pubblica improduttiva per le casse statali, e va da sé che parte di quei fondi vengano trattenuti dalla filiera pubblica statale. Se si aggiunge a ciò che quanto elargito non è sottoposto ad alcun business plan, il disinteresse statale alla restituzione di quote eccedenti, che a loro volta vengono usate localmente per mantenere in vita una filiera pubblica di migliaia di persone aldilà della loro produttività. In altre parole i soldi servono a tutti e bisogna anche avere dei progetti per spenderli come dimostra il caso Viggiano, giunto alla ribalta nazionale; in quel caso non sono stati ideati e realizzati progetti validi per la spesa delle royalties disponibili e che hanno fatto per così dire retromarcia.