I commenti sugli interventi governativi non possono che risentire della maggiore o minore adesione e convincimento sulla bontà delle stesse, oltre che risentire della difficoltà oggettiva che una qualunque previsione sugli sviluppi ulteriori sul lungo periodo di un bimestrale comporta. Mi accingo, dunque, più che a provarci, ancora una volta a ricostruire alcuni passaggi, quelli che coinvolgono più direttamente le situazioni territoriali, quindi anche, come le altre, la nostra regione. Lo faccio per l’ultima volta convinta che di tanto in tanto si debba cambiare l’ambito del nostro impegno per evitare un regresso che la ripetitività rischia di determinare. Con queste note a margine saluto i miei due lettori.
Il 20 febbraio il signor Renzi esultava per aver rottamato l’ articolo 18 e il “precariato”. La opposizione interna, minoritaria, del suo partito però non si dichiarava ugualmente entusiasta anzi ribadivano la loro valutazione assolutamente contraria, alla quale si aggiungevano quelle della Boldrini, della Cgil e dal M5s. La destra espressa da Ncd, attraverso Lupi, che parlava di “giornata storica” e dall’Area Popolare Ncd – Udc.
“ Grave frattura e una ferita nei confronti del Parlamento”, mera propaganda a fronte di una presa in giro dei precari e vero danno ai lavoratori che vengono rinviati agli anni cinquanta, secondo Stefano Fassina. Gianni Cuperlo sottolineava che il governo non aveva recepito nemmeno “ quelle raccomandazioni .. nei pareri delle commissioni parlamentari” espresse all’unanimità da maggioranza e minoranza del Pd.Cosa che la Boldrini confermava, aggiungendo che per una ripresa bisogna creare il lavoro non certo giocando su riforme del mercato del mercato. Molto critica la CGIL che, come già fa da mesi, paventa l’aumento inesorabile della precarietà, poiché, come sottolineava anche il PD Alfredo D’Attorre, rispetto ad un jobs act che avrebbe dovuto cancellare tutte le forme di lavoro precario e l’introduzione di unico contratto di ingresso e dell’avvio di una tutela piena, si cancella la tutela piena prevista dall’art. 18 conservando tutte le forme di lavoro precari. Per i 5stelle si continua a ignorare la mancata competitività delle aziende, l’assenza di commesse, insistendo su flessibilità in uscita e ammortizzatori. Per il governo l’importante era portare alla UE la convinzione che il jobs act così concepito, con le altre riforme, possa avere impatto di grande crescita sul PIL da qui al 2020.
L’ottimismo è l’obbligo per un governo che mira a consolidarsi, cancellando la impressione negativa che nasce da una operazione di insediamento senza il voto elettorale e dagli interventi sulla costituzione fatti con una spregiudicatezza questa sì esemplare. Dubbi ulteriori nascono sulle operazioni in economia e in genere sull’attività così detta riformatrice. Ho raccolto alcune riflessioni più competenti delle mie. Quella di Nicola Scalzini, economista e già capo dell’ufficio economico di Palazzo Chigi, si soffermava sul dibattito in atto se si sia veramente ad un passo dall’uscita dal tunnel. All’ipotesi che riavviare lo sviluppo sarebbe garantito da consistente taglio delle tasse sul lavoro e sulle imprese finanziato da una riduzione della spesa di analoghe dimensioni, sollevava il dubbio che le due azioni non siano sincroniche perché se le imposte possono essere tagliate con effetto immediato, dietro la spesa c’è quasi sempre un salario, una pensione, un contratto da onorare.
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