Si è svolta a Potenza, dal 29 Marzo al 4 Aprile, presso la sede del Circolo Culturale Gocce d’Autore in vico F. De Rosa una mostra del giovanissimo fotografo potentino Simone Marengo, classe 1991, dedicata alla città capoluogo di regione ed intitolata “ Anafore architettoniche, ossimori umani ”. Venti scatti in bianco e nero che offrono un’immagine inedita della Potenza attuale, che a dispetto delle rughe che affollano il suo volto non ha certamente perso la voglia di vivere. Immagini in cui case e palazzi si ripetono ritmicamente come fossero strofe di una poesia e in cui gli spazi urbani sono affollati da vuoti in parte colmati, dalla presenza della gente, i cui gesti, compresa una semplice espressione del viso o postura del corpo trasferiscono profonde emozioni, apparentemente contrastanti o contraddittorie in riferimento agli elementi architettonici che fanno da sfondo.
Una breve chiacchierata con Simone è stata l’occasione per conoscere da vicino un’artista giovane ed interessante, che affianca alla passione per la foto quella per la filosofia e la musica.
Chi è Simone Marengo e come nasce la sua passione per la fotografia ?
Simone è un ragazzo normalissimo come tutti gli altri, studia suona, coltiva mille interessi…e fotografa anche. La passione per la fotografia nasce all’età di 16 anni in maniera del tutto casuale. Un amico aveva due reflex, di tanto in tanto me ne prestava una ed uscivamo a fotografare. All’inizio fotografavo di tutto perché non avevo l’occhio allenato alla fotografia. Poi ho abbandonato per un po’ per qualche anno perché non avevo una mia macchina fotografica professionale. Con la prima borsa di studio presa all’università ho comprato la mia prima reflex e ho ripreso a fotografare, prevalentemente la paesaggistica, con la quale ho affinato la tecnica propriamente fotografica e in seguito vedendo le foto dei grandi artisti street come Bresson ma anche di gente comune pubblicate sui social network, ho capito che la fotografia street mi appassionava e la trovavo più viva rispetto alla paesaggistica, e ho iniziato circa 2 anni fa un percorso incentrato unicamente su questo particolare genere fotografico, che mi trasmette emozioni che altre tipologie di foto non mi trasmettono. Un percorso tra l’altro abbastanza difficile perché la particolarità della fotografia street risiede nel rapporto con il soggetto che fotografi e che tu non conosci. Per cui si ha sempre paura inizialmente a puntare la macchina fotografica in faccia a qualcuno, non sai come può prenderla quando gli scatti una foto e che cosa succede. Questo ti porta ad impiegare obiettivi di zoom con cui si cerca di fare foto senza essere visto, come di nascosto, a non alzare neppure la macchina fotografica agli occhi, o a tenerla attorno al collo e scattare foto che non ti appagano perché non
riproducono quello che vuoi tu e non rispecchiano lo spirito del genere fotografico. Infatti la fotografia di strada si basa sullo scendere in strada e avere un rapporto di vicinanza con le persone: parlarci, chiedere se le puoi fotografare. Quando ho capito questo le fotografie che scattavo sono decisamente cambiate in meglio e oggi tendo a fotografare ciò che mi ispira e che ritengo poetico nei mestieri, nelle occupazioni e nelle attività di tutti i giorni, compresa una semplice passeggiata che chiunque può fare, cercando di raccontare allo stesso tempo il mio luogo, Potenza. Un dato fondamentale del genere street è il sentirsi ambientato e il sentirsi a casa nei posti in cui fotografi. Non a caso ho iniziato il mio percorso raccontando la città che io amo e in cui vivo, e anche la mostra verte sugli angoli e le vie del centro storico.
Quale è l’essenza della fotografia street ? Non si perde di naturalezza quando cambia il rapporto con il soggetto “ consapevole e non sorpreso ” nell’essere fotografato ?
L’essenza della fotografia street è cogliere un momento particolare e unico, in teoria. Bisogna saper aspettare, perché non devi scattare foto in maniera immediata, ma attendi che il soggetto che intendi fotografare e che hai visto faccia quella cosa davvero singolare e degna di essere immortalata. Inoltre bisogna anche gestire la tendenza delle persone a mettersi in posa quando accettano di essere fotografate. Solitamente per recuperare la naturalezza perduta devi dare loro l’impressione di aver già fatto quello che dovevi fare. Questo significa fare alcune foto insignificanti e che non ti servono a nulla in modo da dare alla gente quell’impressione che li porta a rilassarsi e a tornare nella loro posa naturale, quindi “ pronte ” per essere fotografate. Naturalmente vi sono anche situazioni in cui devi osare un po’ di più, come può essere la scena di un bacio “ rubato ” e coglierla nella sua naturalezza senza temere eventuali reazioni, anche perché non puoi chiedere “ mi rifai la scena del
bacio ? ”. Dipende quindi sempre dalle circostanze specifiche. La maggior parte delle volte è preferibile chiedere. In casi di reazioni negative dei soggetti, puoi tranquillamente cancellare le foto davanti i loro occhi.
Vi è un tema prevalente negli scatti di Simone Marengo?
Nella fotografia street ogni foto ha una storia ed un significato a sé, per quanto sia sempre la strada ciò che dà ispirazione e “ costruisce ” l’ immagine. E’ dunque difficile trovare un tema, un soggetto comune nelle scene catturate dalla fotografia di strada. Se dovessi individuare un filo conduttore che in qualche modo lega le immagini è la ricerca di momento unico ed irripetibile e le emozioni delle persone fotografate e quelle legate ai momenti fotografati. Nelle mie foto è difficile che non ci sia l’elemento umano, o che ci siano unicamente pezzi di architettura. Concepisco la fotografia street in termini di interazione tra l’essere umano e l’ambiente nel quale è inserito. Un modo per raccontare gli esseri umani, i loro mestieri, le loro passioni e i loro sentimenti colti sull’attimo.
Quale concetto vuoi esprimere con il titolo dato alla mostra “ Anafore architettoniche, ossimori umani ” ?
Ho paragonato l’architettura all’anafora, ossia quella figura retorica basata sulla ripetizione in poesia della stessa parola, per via di quegli elementi architettonici ripetuti quasi all’infinito e sempre uguali che caratterizzano molti edifici, come nel caso degli archi. Si tratta di un concetto che rispecchia metaforicamente la mia idea del rapporto tra uomo e architettura. Senza l’elemento umano, come ad esempio una ragazza che tornando a casa da scuola è assorta nei suoi pensieri e preoccupazioni l’architettura sarebbe un’anafora, una ripetizione di sé negativa, vuota di sentimento ed emozioni.
L’inaugurazione della mostra è stata accompagnata dal primo di una serie di incontri programmati dal Circolo Culturale Gocce d’Autore sulla storia della città di Potenza, raccontata per l’occasione dalle parole dello storico Vincenzo Perretti come invito a compiere un viaggio nei vicoli della città, nella loro storia, alla scoperta dell’identità dei luoghi attraverso la toponomastica.