Antonio Saluzzi è un artigiano di Acerenza, dove vive e opera. Diplomato al conservatorio in basso tuba, ha scelto, andando in controtendenza, di abbandonare la musica per dedicarsi all’artigianato. Nella cittadina lucana fa il decoratore di appartamenti, finge il velluto sui muri, monta tappezzerie, cornici e realizza affreschi su volte e pareti. Ma la sua vera passione, anche se ciò di primo acchito può sembrare un accostamento azzardato, è l’arte, che ha letteralmente rapito i suoi sensi. Egli ha infatti intrapreso un incredibile percorso di scultore e fonditore. Saluzzi è posseduto dal tocco sacro dell’arte che sconquassa prima interiormente e poi, tramite le mani e pochi altri strumenti auto-costruiti, prende forma e diventa vita. E in ciò risiede la grande sorpresa: un artigiano che si trasforma in artista o un artista che all’occorrenza fa l’artigiano. Anche se lui non si sente né l’uno né l’altro. La sostanza, in ogni caso, non cambia: artigiano e artista sono le due facce della medaglia di Antonio Saluzzi, figura unica nel panorama italiano, che si sta imponendo senza sgomitare e con la discrezione propria di chi ha qualcosa in più ma non ha l’assillo di doverlo urlare a tutti, perché le cose vere prima o poi arrivano. E quando arrivano restano. Per sempre.
Nell’epoca degli oggetti creati in serie, lui e suo fratello Mario, nell’azienda di famiglia ereditata dal padre Canio, creano il pezzo unico, nel quale il valore e l’autenticità sono dati dall’imperfezione che esso porta con sé. E l’imperfezione è il segno tangibile che ogni creazione possiede un’anima. Le sue medaglie, che parlano di sapienze antiche e inducono il presente a riflettere su se stesso, sono arrivate perfino ad Hong Kong. Ha raggiunto una certa autorevolezza nel campo della simbologia al punto che alcuni professori universitari si rivolgono a lui quando hanno dei dubbi. Tutto quello che sa in questo ambito lo deve a don Mario Festa, parroco ad Acerenza per quarant’anni. Ama la Basilicata nonostante tutto, convinto che alla propria terra non bisogna chiedere ma dare: solo così si può incidere sul suo tessuto culturale e cambiarne le sorti.
La sua sperimentazione scultorea: come si è avvicinato e quando ha deciso di intraprendere questa strada?
In verità io vengo da una famiglia di artigiani. Mio padre è il capostipite, poi c’è mio fratello Mario, anche lui scultore come me. Lavorando insieme siamo riusciti a trasformare l’attività di famiglia in un’azienda unica nel settore in Italia. In pratica noi fondiamo i materiali che utilizziamo, come già facevano i greci e i romani, con la sola terra e i carboni. Tecniche in disuso ai nostri giorni, nei quali si pensa a produrre e non a creare. Nei quali si guarda al mercato immettendo in esso oggetti seriali e non unici. Noi ci siamo specializzati nell’arcometallurgia e studiamo, prima di lavorarli, la storia e la preistoria dei metalli.
Fermiamoci un attimo: tutto ha inizio con suo padre. Cosa faceva lui nello specifico?
Mio padre, Canio Saluzzi, fondò l’attuale azienda circa quarantacinque anni fa ed è stato lui che ha trasmesso a me e a mio fratello l’amore per la manualità e l’arte, permettendoci di proseguire sulla strada da lui tracciata. Lui è un ottimo pittore di quadri, specializzato negli affreschi realizzati con l’antica tecnica della calce stesa a fresco e poi dipinta con terre naturali e pigmenti ricavati dalle terre, in modo da imprimersi nell’intonaco fresco e rimanere indelebili nel tempo.
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