Ci sono alcuni fenomeni culturali, indagati soprattutto dall’antropologia culturale, che presentano caratteristiche non proprio normali, caratteristiche che si possono definire stranezze. Perché proprio stranezze? Evidentemente perché non rientrano nella comprensione “normale” dei fenomeni e delle cose del mondo, e quindi producono meraviglia, curiosità, perplessità. Alcune usanze di popoli molto diversi dal nostro possono essere considerate stranezze, così pure come alcune credenze, alcuni comportamenti o addirittura alcuni valori.
Nel vasto repertorio della paremiologia, disciplina che classifica, descrive e studia i proverbi, possiamo trovare alcune di queste stranezze, anche se va ricordato che molti proverbi a prima vista sembrano controintuitivi o strani, evidentemente a causa dello stile conciso in cui si presentano. Prendiamo alcuni esempi di questa stranezza dalla paremiologia lucana: ricch’ jè chi sap’ ghor’, vecchi chi aviett’ mor’ (ricco è chi sa godere, vecchio è chi presto muore).
Cosa significa? È davvero ricco, da intendersi ricco nell’anima, chi ha la capacità di godere delle cose buone e belle della vita; è vecchio chi perde presto la capacità di provare gioia per la vita. Molti altri proverbi presentano la stessa stranezza all’inizio dei tentativi di interpretazione.
In particolare ne segnalo qui due che sono davvero strani e quindi meritano un’attenzione particolare. Il primo può dare adito a diverse interpretazioni: lu zuopp’ p’ ballà, lu cacagli p’ candà (lo zoppo per ballare, il balbuziente per cantare). Ho trovato che questo proverbio si usa, con dialetto diverso, anche in altre regioni d’Italia. Cosa significa veramente? Anzi, si può ancora parlare di interpretazione dopo tanta apparente assurdità? Non è forse solo una sciocchezza della cultura folk che vorrebbe incuriosire con le sue inevitabili attrattive pittoresche? Sia per quanto riguarda lo zoppo sia per il balbuziente “per” sta a significare “adatto per”, nel senso di convenienza, come a dire: per ballare ci vuole lo zoppo, per cantare ci vuole il balbuziente. In base a questa traduzione, che dovrebbe essere quella corretta, la stranezza del proverbio è veramente sconcertante. Alcuni anziani mi hanno invitato ad osservare uno zoppo quando balla. Dicono che gli zoppi sono incredibilmente bravi a ballare.
Il secondo proverbio che voglio segnalare come esempio lampante di stranezza è il seguente: ten’ lu nehe e nun lu ver’, ten’ la furtuna e nun ngi crer’ (ha il neo e non lo vede, ha la fortuna e non ci crede). Non ho trovato nessun altra versione di questo detto. Comunque, a questo proposito cosa dobbiamo dire veramente? Questo proverbio è strano o difficile? È strano o profondo? A prima vista possiamo dire tranquillamente che questo “insolito” proverbio è sicuramente strano. Infatti, di solito chi ha un neo lo vede, non ha nessuna difficoltà a vederlo. Perché allora il proverbio sembra non tener conto di questa ovvietà? Evidentemente si tratta di un significato metaforico, forse per dire qualcosa che a tutta prima sfugge. Nella cultura popolare il neo è segno di bellezza, di fascino, un piccolissimo punto nero che interrompe il disegno ovvio del viso o di un’altra parte del corpo. Quindi, non vedere il neo significa non considerare un piccolo dettaglio che in realtà conferisce una specie di attrazione, in quanto elemento che spezza l’ovvietà, la linearità.
E, quindi, ora la seconda parte del proverbio emerge in tutta chiarezza gettando luce sulla prima: ognuno di noi ha qualche “fortuna”, qualcosa del suo carattere che può rivelarsi utile, positiva, vantaggiosa. Ma è difficile credere in questa fortuna, la si sottovaluta, non la si considera attentamente, proprio come nel caso del neo che non viene visto, cioè non viene valorizzato adeguatamente nella sua peculiare importanza.