Prima di tutti noi avevi regalato alla canzone del Sud la piena cittadinanza mediterranea, ciao Pino. [Gennaro Della Volpe, in arte “Raiz”]
Io non possiedo tutte le doti del grande affabulatore, ma non posso non salvare – scrivendola – questa piccola grande storia che parla dell’incontro con un artista vero che, col fascino avvolgente delle sue parole e della sua musica, con la sua arte, con la sua creatività e il suo attaccamento alla Lucania mi ha sempre affascinato e mi ha fatto provare dolore per la sua definitiva uscita di scena, più di quanto chiunque, lui per primo, avrebbe immaginato.
Non so perché ma, da quando ho saputo della morte di Mango, nella mente, canticchio alcune sue canzoni, mentre mi faccio la barba, mentre sto al computer e cosi per il resto della giornata. Su tutte la prima che ricordo è Lei verrà. Una canzone della mia adolescenza. Di quando Mango veniva nella valle. Di quando veniva proprio al mio paese, a Sant’Arsenio. In uno dei più piccoli paesi della valle-catino c’era un negozio di strumenti musicali che Mango frequentava. Io, a quel tempo, non l’ho mai visto, ma si diceva. Ed era vero. La valle è una zona di frontiera e buona parte dei paesi lucani di confine, isolati dal mondo, da sempre, si sono serviti delle sue pur limitate risorse.
Non ero un suo fan accanito, ma nemmeno un detrattore, anzi. Mi piaceva la voce, meno lo stile delle pettinature, ma ero innamorato della sua semplicità e della sua lucanità. Oro e Bella d’estate fanno capolino da tutte le radio e Retequattro, stanotte, trasmette tutti i suoi passaggi televisivi. Lo guardo, lo rivedo e mi rendo conto, dalle varie mode e dalle diverse fogge e acconciature che, praticamente, me lo ricordo da sempre. Mi scopro, con meraviglia, un esperto conoscitore di molte sue canzoni. Non conosco solo i ritornelli ma, interi pezzi dei suoi testi. Non al punto da mandarli a memoria, ma abbastanza da duettare metaforicamente con lui.
La sua è stata una carriera spesso sottotraccia, vissuta braccando una strada personale e mai scontata. Possibilmente poco battuta e pazienza se negli anni la popolarità era un po’ scesa. Resta la vocalità particolare di uno che ha sdoganato l’uso del falsetto ben prima di Thom Yorke o Chris Martin. Resta l’arte d’aver mescolato la melodia italiana con suoni di matrice anglosassone e aver creato un pop d’autore commerciale, ma non banale, anche avvalendosi di collaboratori internazionali di prima classe. È stato un grande innovatore. Io l’avevo conosciuto di persona all’apice della sua notorietà. Appena dopo l’uscita di Sirtaki il suo lavoro più bello, quello più Mediterraneo.
A San Rufo, in un altro piccolo paese della valle-catino, in quel Centro Sportivo, c’era un palazzetto sovradimensionato per il posto ma idoneo per simulare un grosso concerto e, soprattutto, non lontano da Lagonegro. Mango lo aveva fittato per provare, nei minimi dettagli, lo spettacolo del suo nuovo tour. Nulla doveva essere lasciato al caso e così fu montato il palco, le casse e tutto quanto.
Mango era un professionista preciso e metodico, suo fratello Armando un perfezionista nevrotico e Graziano Accinni, il chitarrista, un mostro mitologico. Dopo un paio d’ore, esausti e rincoglioniti dagli stessi accordi ascoltati di continuo, tornammo a casa. La notizia delle prove subito si sparse e, si sparse così bene, che la sera successiva eravamo in otto e poi, in quella dopo, addirittura in quindici. Logico che ci sgamassero e, ancor più normale, che ci vedessero.
Il racconto di Arsenio D’amato nel nuovo numero de Il Lucano Magazine.