É una parabola luminosa quella di Simone Zaza, partito dal Sud undicenne con un borsone pieno di sogni per poi scoprire, circa dieci anni dopo, che i sacrifici e la passione ripagano. Sempre. Ragazzo umile, lavoratore, educato e con la voglia di non fermarsi, ha stupito tutti diventando una pedina importante del Sassuolo Calcio. Da quando i riflettori si sono accesi su di lui è arrivata anche la chiamata di Conte, che lo ha fatto esordire in maglia azzurra. E lui non ci ha messo molto a convincere il partito dei dubbiosi della bontà della scelta CT: gol alla prima gara di qualificazione a Euro 2016 e tutti d’accordo. Predestinato.
Non è facile per uno che inizia bambino a inseguire il grande calcio sui campi spelacchiati di questa regione, nella quale le vette più alte del professionismo vennero toccate dal glorioso Potenza di Boninsegna negli anni Sessanta che giocò la B sfiorando la promozione in A. Dopo il nulla, o quasi. Fino a Zaza, appunto.
In Basilicata, come nel resto d’Italia, il calcio è pane quotidiano, verbo da diffondere, religione da professare. Ma qui, diversamente che altrove, la situazione di partenza è difficile: mancanza di strutture, organizzazione non impeccabile dei settori giovanili, tessuto imprenditoriale ridotto ai minimi termini che investe sempre meno nello sport. A questo va aggiunta la mancanza di visibilità con cui il calcio lucano deve fare i conti. Tradotto: i giovani locali fanno fatica a emergere e non sono in grado di competere con i pari età più fortunati sparsi su e giù per lo Stivale. Fino a Zaza, appunto.
Zaza è un ragazzo con i piedi ben piantati per terra. Sa bene che il gol alla Juve e quello in Nazionale non sono la sua legittimazione di calciatore, la sua consacrazione definitiva. Sa che le parabole prima o poi discendono e per questo oggi non glassa d’oro i suoi primi successi, ma pensa ai prossimi traguardi da centrare, con il desiderio immutato di farcela e l’abnegazione di sempre. Senza paura. L’intervista che segue è l’esempio che il Dio del calcio, un po’ distratto e tendenzialmente propenso a fermarsi ad Eboli, deve pescare più spesso in Basilicata, dove il suo occhio raramente si è posato. Fino a Zaza, appunto.
Simone, gol alla Juve, gol alla prima gara ufficiale in Nazionale. I gol più importanti della tua carriera?
Sì, sono stati gol pesanti anche se, come ho già detto in passato, i gol più importanti sono quelli che verranno. Spero di farne ancora tanti sia in Nazionale che con il Sassuolo.
Sei partito dai campi polverosi della Basilicata, quanto è stata dura arrivare dove sei ora
È stata molto dura ma ho avuto la fortuna di vivere e crescere in una famiglia che mi ha sempre seguito ed aiutato molto. Ho capito che ci vuole anche tanta fortuna e sono davvero contento di essere arrivato fin qui.
L’allenatore più determinante per la tua crescita calcistica.
Ho avuto tanti allenatori, tutti mi hanno lasciato qualcosa. Fra i più determinanti citerei Stefano Cuoghi che mi ha rilanciato quando andai in C al Viareggio e Eusebio Di Francesco, e non lo dico perché è il mio attuale allenatore. Mister Di Francesco mi ha insegnato davvero tanto, non solo sul piano sportivo ma anche su quello umano e comportamentale, soprattutto fuori dal campo.
Un consiglio a un ragazzo lucano che inizia a giocare a calcio e sogna un giorno di emularti sui campi di serie A.
Il consiglio che posso dare è quello di non perdersi mai d’animo, soprattutto quando le cose sembrano non andare per il verso giusto. Anche io ho vissuto momenti difficili, ho subito le mie brave “sconfitte” ma non mi sono mai arreso e sono sempre riuscito a rialzarmi. Fare sempre il massimo per raggiungere i propri obiettivi!
Dei ragazzini terribili della Stella Azzurra Bernalda, società che ti ha svezzato, senti ancora qualcuno?
Sì, molti sono ancora a Bernalda, sono miei amici, li conosco un po’ tutti.
Ringraziamo il Sassuolo Calcio (Foto Vignoli) per la collaborazione. L’intervista integrale a Simone Zaza ne Il Lucano Magazine in edicola!