Non c’è niente, toccando il quale, tu possa dire “il mio cuore è pieno”. L’uomo è un abisso che chiama l’abisso si narra nella Bibbia. Scrivere versi, come afferma lo scrittore e poeta contemporaneo Davide Rondoni conduce inevitabilmente a vivere questa esperienza; ed il fatto che sembra non esserci nulla che possa compiere il proprio cuore si trasforma immediatamente in una tentazione del nulla. Chi non sente questa tentazione “non può scrivere poesie” sentenzia il poeta e, non solo; non può vivere adeguatamente: “un uomo che dicesse di non aver provato questa sensazione sarebbe falso come un manichino”.
Scrivere vuol dire accettare continuamente questo livello del gioco e quindi anche questa tentazione. Quel niente incapace di soddisfare il cuore di una persona è come la distanza fra la parola ed il suo significato: nessuna parola è soddisfatta, mai si compie realmente nel suo significato, chi lavora con le lettere, proprio come chi resta a vivere a sud, lavora con una materia strana che è l’insoddisfazione. Il fatto che ci sia questa sensazione è paradossalmente il segno che qualcosa deve esserci e l’inappagamento può diventare il più grande motore per la ricerca di qualcosa oppure il baratro in cui lasciarsi cadere. Questa è una decisione; nell’uno o nell’altro senso, una scelta consapevole, non un automatismo inevitabile.
Con l’andare del tempo però, si è verificato un fenomeno assai paradossale che sembra portare gli uomini ad introiettare un sentimento che porta ad agire in modo indipendente dalla propria volontà: vittime di quel benessere che provoca una “società in cui v’è poco merito nella virtù ed altrettanto ben poca colpa nell’errore” (ricordando un’intervista a De Andrè). Un’indulgenza con se stessi questa, del tipo: “quando le cose vanno male non è colpa tua”, che porta a vivere meglio e più serenamente distratti nei confronti della propria società.
Qual è il meccanismo che illumina la ragione del “vado via dalla Lucania perché non ci sono opportunità, perché non c’è futuro” contrapposto invece alla scelta di non partire, di restare a sud? Forse nell’una le parole si compiono nel proprio significato e nell’altra ragione no? E’ il reale che si contrappone all’insoddisfazione, alla poesia? Dove e di chi è la colpa?
Mentre, sempre più, i cartelli “vendesi”, la maggior parte appesi obliqui con le lettere in rosso, unitamente ai meno dolorosi “affittasi”, concedono l’ultima, remota possibilità alle casine ed alle palazzine vissute fino all’ultimo respiro dai nonni che non ci sono più. E’ proprio vero che chi resta ha fallito e solo chi se ne va è bravo davvero?”
L’articolo di Danilo Vignola ne Il Lucano Magazine tra pochi giorni in edicola!