C’era una volta, in un villaggio di frontiera, un giovane uomo che si affacciava alla vita, quella vera (Ecco il link alla prima parte del racconto su Lavello)
Scrivere e insegnare sono strani mestieri. Ruoli e successo sembrano dipendere da congiunzioni astrali, ma informarsi e studiare ogni singolo caso è la buona norma da seguire. Andrea si recò in paese e chiese in giro di Ersilia, di suo marito e dell’azienda agricola. Scoprì cose utili al suo articolo. Seppe che quell’azienda fu pioniera della rotoballa nella zona. Sul finire degli anni ’80 pochi la conoscevano e molti diffidavano. I vecchi modelli d’imballatrice comprimevano a partire dal centro e capitava spesso che il fienile se ne andasse in autocombustione a causa del poco scambio d’aria. A partire da quell’epoca, pertanto, le rotoballe presentano un centro morbido: accumulano il fieno in una camera sagomata che inizia a comprimere solo quando è piena. Lo strato compresso diventa più sottile ed esterno e nel centro si può comodamente infilare un braccio.
Fu così che Andrea si ritrovò al via della sedicesima edizione della festa della “mietitura e trebbiatura” di Lavello, che si svolse nei primi tre giorni di luglio in piazza Mattei. L’evento, che rientrava, con i Comuni di Atella e Montemilone, nel progetto “Le vie del grano”, consisteva nella rievocazione storica della mietitura e trebbiatura attraverso la riproposizione di ambientazioni, lavorazioni e movenze tradizionali degli inizi del secolo scorso. La rappresentazione delle lavorazioni avvenne mediante l’uso di mezzi d’epoca e, durante il percorso, furono ricostruiti vari spaccati di vita contadina: dalla mietitura a mano alla colazione del mietitore, dagli antichi mestieri alle danze popolari. Nel pomeriggio di domenica 3 luglio, dopo la Santa Messa in onore della Madonna del grano, figuranti in costume tipico dell’epoca attraversarono le vie della cittadina, portando in processione il quadro della Madonna rifacentesi a quello originario del 1937, donato dai mietitori alla comunità di Lavello in occasione della “prima festa del mietitore”, documentata in un filmato storico dall’Istituto Luce. Un evento importante per non dimenticare le tradizioni, per rievocare consuetudini e usanze che sembravano ormai perdute nel tempo.
Quel giorno Ersilia e Andrea s’incontrarono, casualmente, fra la folla. Certi pensieri galleggiavano nell’aria come bolle di vuoto. Il silenzio che dominava la scena si conficcò nelle bolle sotto forma di carica elettrostatica. Era come se l’emotività mitigata si fosse di colpo slacciata. Come se fosse ghiaccio sciolto.
“Puoi pure sorridere – disse Ersilia con tono esile – che non me la prendo, anzi se non lo fai mi offendo”.
Era ancora molto bella e possedeva una moderna macchina fotografica digitale al collo.
“Nel ri-vederti, per fortuna, sono riuscita a tutelare la mia famiglia. Meno male che non ero sola. Altrimenti ti sarei saltata addosso. Quello col trattore era mio marito. Grazie dei pensieri sul web… Posso farti una foto?”.
Andrea non rispose, ma fece si con un cenno della testa. Non era un mutismo che faceva mistero, ma un silenzio attraente: un carisma di tendenza. Restò, ancora una volta, imbambolato davanti alla di lei bellezza. Ersilia era procacemente bella. Vano smentire l’evidenza. La leggerezza, poi, con cui lei si confrontava con lui, nel quadro generale, gli rammentava qualche cosa: d’innato, d’idilliaco, di seducente, di stregato, d’infinito, comunque un qualche cosa che riguardava l’amore.
Sorrise pensoso. Sorrise silenzioso. Chissà se a Lavello qualcuno ricordava della loro storia giovanile. Chissà. Il marito di Ersilia, comunque, di certo non ne sapeva niente. Forse ne era al corrente solo il fieno in campagna, e questo spiegava perché si fosse sempre mostrato, in qualche modo, indulgente nei loro confronti. Sì, aveva voglia di rivederla. Aveva voglia di ridere e scherzare insieme a lei come quando, nelle campagne, avevano cercato di creare un futuro insieme. Aveva anche voglia di stare zitto: condividendo il tacere e godendo in silenzio della reciproca disponibilità. Ammiccò alla donna e, con il cuore allegro, si avviò. Aveva recuperato un rapporto. Era riuscito ad avere notizie per il suo articolo. Aveva ritrovato quello che aveva perduto. Aveva un luogo al quale tornare. Cosa poteva desiderare di più?
Lei, tuttavia, dopo avergli scattato un paio di fotografie, incalzò: “Credi ancora che la diplomazia sia noiosa e ruffiana? Se così fosse… sappi che ti stai comportando proprio con diplomazia e sottile ruffianeria.”.
Touché! – rispose Andrea, tentando un’ultima, strenua, difesa al suo piccolo fienile – «molto è dovere, intorno, feste d’ubriachi. / Con esse adagio la mia colpa scorre / o corre via con l’origliare dei salvati».
“Capossela, vero?” – sorrise Ersilia.
“No: Augusto Amabili! – replicò Andrea, abbandonando al suo destino la titubanza a forma di coda di paglia – Anch’io, comunque, sarei saltato addosso alla signora con la bicicletta che brillava al sole. Penso che la sincerità sia la cosa più importante. Chi si espone con una persona che conosce da vent’anni, come io conosco te, in parole povere, mica può farlo raccontando “balle”?
Il racconto di Arsenio D’Amato ne Il Lucano Magazine in edicola!