E’ stato presentato nei giorni scorsi a Matera il nuovo libro di Alberto Savorana, Vita di Don Giussani, edito nel 2013 da Rizzoli. La presentazione, organizzata dal Centro Culturale Fontana Vivace, si è svolta presso il Cinema Comunale materano in Piazza Vittorio Veneto, alla presenza di Giampiero Maruggi, Direttore Generale Ospedale San Carlo di Potenza, del professore associato di filosofia teoretica, Carmine Di Martino, presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, e Giusi Santagada, Responsabile Regionale Comunione e Liberazione, in qualità di moderatrice del dibattito.
Un libro per riscoprire una figura cattolica impegnata a diffondere nell’animo della gente la fede cristiana, che il teologo fondatore del movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione, amava definire una modalità sovversiva e sorprendente di vivere le solite cose. L’incontro è stato introdotto da un canto d’amore Negra sombra, “che descrive la nostalgia dell’amato e la sorpresa di rintracciare nei tratti di ogni cosa quella presenza misteriosa che è il vero oggetto di ogni amoreˮ e da un breve filmato di alcuni minuti con immagini di battute, viaggi, interventi e spezzoni di intervista a Don Giussani, che si sofferma sul significato della croce “Come principio della nostra liberazione, e del cammino dell’uomo dentro il mondo, per portare agli altri la libertà di cui Cristo ci ha liberati” e sulla sua singolare vicenda di persona “che volendo bene ai giovani riusciva per grazia di Dio a comunicare loro certezze e affettività di cui altrimenti sembrerebbero incapaci”.
Un libro biografico di oltre 1200 pagine “Il primo passo per testimoniare come la vita e la figura di don Giussani, dati i suoi insegnamenti e la sua influenza sociale non sono il patrimonio di un singolo movimento, ma di tutta la Chiesa, alla stregua di quanto accade con quanti sono oggetto del processo di santificazione. Un uomo che credeva in quel che diceva come era solito affermare lui stesso e che pertanto fu visto dai giovani come una guida in grado di indicare una strada in maniera disinteressata e non strumentale”.
“Il testo – ha dichiarato Giusi Sandagata – è il frutto di un lavoro accurato da parte del Savorana su una mole sterminata di documenti e di innumerevoli testimonianze da cui si evince come il venire a contatto con Don Giussani portava chi lo incontrava a scoprire e portare a galla una parte significativa del proprio sé, e a dare una risposta agli accadimenti della quotidianità, anche quelli apparentemente drammatici ed irrisolvibili, riconoscendo la positività ultima del reale. Una presenza scomoda ed affascinante, che guidava le persone non a sé ma a Cristo, ha conquistato i cuori, aprendo al mondo le porte verso il Cielo come lo ha definito il Papa Emerito Benedetto XVI”.
Per Maruggi, il libro, scritto molto bene, si lascia leggere agevolmente, delineando i tratti di un rivoluzionario moderno, trasposizione della figura medievale del monaco guerriero”. Agli inizi del XII secolo il pontefice Urbano II si fece promotore della Prima Crociata. Fu un movimento di popolo importante che coinvolse masse di uomini. Sorse il problema di garantire la sicurezza dei pellegrini e Bernardo di Chiaravalle, affiancò alla tradizionale tripartizione dell’uomo dell’epoca in servo della gleba, cavaliere o uomo d’arme e uomo di preghiera (is qui luget era la locuzione usata dai latini per indicare colui che piange, per espiare i peccati del mondo), la tipizzazione del monaco guerriero, che Giussani, in epoca moderna, rompendo degli schemi, stravolge, in quanto, partendo da una sua vocazione, una fede fortissima ed una capacità innata, quella di educatore e di comunicatore ante litteram che lo spingono ad abbandonare l’insegnamento in seminario per insegnare religione al liceo Berchet di Milano.
Le sua vocazioni alla comunicazione e all’educazione vengono potenziate tramite il messaggio di un nuovo cristianesimo, non più elitario, da sagrestia e parrocchiale, ma che, finalmente aperto e non estraneo al mondo, applica l’insegnamento della vita di Gesù di Nazaret, consapevole della forza di un ingrediente come la fede. Basti pensare, per capire le sue straordinarie capacità di dialogo e di comunicazione, all’organizzazione che seppe dare ai raggi di GS (Gioventù Studentesca) negli anni 50, in cui non vi erano tecnologie come facebook, twitter. Appassionato di Leopardi, si crucciava per non essere riuscito ad incontrare personalmente Pasolini, era un pastore vero che ha rinunciato ad una carriera accademica che la solida formazione culturale teologica gli garantiva, ed è andato in mezzo ai giovani costruendo dei percorsi e generando dei movimenti in grado di iniziative meravigliose come Comunione e Liberazione, il Banco Alimentare, la Compagnia delle Opere, o le attività in campo editoriale. Lo interessava moltissimo il fare umano e la gratuità, valore che lui definiva l’unico modo con cui l’uomo imita Dio.
Giussani lanciava messaggi forti come l’augurio di non stare mai tranquilli, e definiva ragionevole colui che sottomette la propria ragione all’esperienza; esortava, cioè i cristiani a mescolarsi, a provare, non temendo le contaminazioni e le tentazioni definite lo sterco del diavolo come il denaro che poteva girare nei movimenti, che lui mise in conto, fiducioso che è la coscienza umana la stella polare e l’obiettivo finale a cui ciascuno tende per un mondo migliore. Un uomo che ha lasciato impronte e radici fortissime.
“Quella di Don Giussani, – dichiara De Martino – è una vita che è stata ed è una possibilità per molti, la sua testimonianza è una strada, un dono fatto all’uomo, in modo tale che la fede diventa persuasiva. Il carisma della figura è una strada offerta all’uomo contemporaneo che ha permesso di restituire la credibilità del Cristianesimo, partendo da un assunto e una domanda posta dal Dostoevskij e ripresa dallo stesso sacerdote, Può un uomo colto ed europeo credere proprio alla divinità di gesù Cristo? Giussani era un uomo entusiasmato da Cristo ed innamorato di Cristo, per il modo in cui si rapportava a tutto, e vivere il Cristianesimo non come un devoto ricordo ma come un’esperienza estemporanea presente alla coscienza dell’uomo come se si trattasse di un accadimento contemporaneo nella sua vita. La fede se non fosse utile alla vita sembrerebbe destinata ad avere una scadenza“.