L’Aula Magna dell’I.I.S.S di Venosa ha ospitato il simposio storico-critico sulla presentazione del libro del prof. Donato Martiello, “Insieme a Zanardelli. Da Lagonegro al paese di Fortunato e alla Terra dei Briganti per cercare di capire, nel suo 150esimo anniversario, chi ha fatto veramente l’Unità d’Italia”. Un titolo, quello del docente rionerese di Italiano e Storia e Storia e Filosofia negli Istituti Superiori del Vulture, che pungola l’intelletto a riflettere su un aspetto “ri-formante” e “ri-generante” il dibattito storiografico, sempre attuale e perennemente controverso, sull’unificazione del Regno d’Italia avvenuta il 17 marzo 1861, sul contrasto altisonante delle sue “luci ed ombre” e, soprattutto, sulla “questione meridionale” che, nel corso dei decenni, è stata sciorinata come un’epopea garibaldina, raccontata, mitizzata nella sua prospettiva eroica, poco avvezza a ricostruzioni fuorvianti dalla storia istituzionale, fondate su una idea preconcetta di liberazione salvifica, di matrice hegeliana.
Sono alcune delle articolazioni su cui è gravitato il dibattito intrecciatosi sulle puntuali argomentazioni disquisite nel convegno a cui hanno preso parte Lucio Attorre, professore ordinario di Storia Contemporanea presso l’Università degli Studi della Basilicata, preceduto dall’incipit introduttivo della dirigente scolastica Mimma Carlomagno e intercalato dal moderatore Giuseppe Orlando, giornalista pubblicista. L’annuncio del 1° premio conseguito dai ragazzi della III A dell’istituto venosino al Certamen “Giustino Fortunato”, e del 3°premio conquistato dagli studenti della III B, è stato accolto con orgoglio e soddisfazione in quanto risponde “alla crescente fame di una gioventù pensante la quale ha aggiunto ai ragazzi presenti in platea “quando lavorate con impegno e passione siete sempre dei vincitori” ha commentato la preside Carlomagno.
Del resto, l’idea che “la storia sia fatta solo dai vincitori” anima i testi scolastici che ripercorrono magistralmente la cronologia dei fatti; ma esiste un’altra storia che deve essere studiata e riscritta dalla generazione di giovani studiosi, portando in auge il passato attraverso una rinnovante sensibilità riflessiva, giammai commemorativa, lontana dal clima osannante delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’Unità nazionale. Di qui l’invito rivolto alla nuova generazione a non limitarsi a una storia calata dall’alto, e ad offrire, previo uno studio rigorosamente critico e analitico, una diversa interpretazione che metta in risalto gli interessi particolaristici, consumatisi nella ristretta cerchia di un’elite, composita di proprietari terrieri e di famiglie altolocate, mentre il popolo dei contadini versava in una abissale miseria.
Gli effetti di questa depredazione sono stati i movimenti migratori che hanno portato oltre il 60% della popolazione, nel ventennio tra il 1881 e il 1901 ad espatriare, come si evince nel testo di Martiello. Una cogenza, quella dell’emigrazione, che in maniera periodica e ricorsiva si ripete fino ai giorni nostri. Tutto ciò sfociò, da una lato, nella restaurazione, spartizione e lottizzazione dei poteri e, dall’altro, nella cruenta repressione delle sommosse popolari animate dai contadini e dal proletariato, la cui repressione fu canalizzata nella reazione dei Brigantaggio, che “da preunitaria delinquenza comune diventa uno sfogo in cui si canalizza quel disagio che è preludio alla lotta bracciantile per l’autonomia delle terre” sottolinea il prof. Lucio Attorre.
In questo quadro la legge speciale per la Basilicata di Giuseppe Zanardelli si rivelò un tentativo fallito di far risorgere la provincia lucana dall’isolamento e dalla marginalizzazione, i cui effetti negativi si avvertono, ancora oggi, in una terra che continua a essere, suo malgrado, “un Mezzogiorno del Mezzogiorno”. Così la Spedizione dei Mille in Sicilia si dipana nella sua vera natura colonizzante, inizialmente osannata sotto le mentite spoglie di una liberazione patriottica, così come un’alba illusoria è l’opera di “(…) Cavour tormentato dalla fatica di ‘tessere’ le trame di una diplomazia moderna, o del Garibaldi eroe planetario di questo o di quell’altro mondo(…)” si legge testualmente nella presentazione di Lorenzo Del Boca noto giornalista e saggista politico, e già presidente dell’Ordine dei Giornalisti Italiani. Qui s’intesse la tela del Brigantaggio su cui ha ampiamente dissertato il prof. Lucio Attorre, la quale diventava l’inizio di un cambiamento che sembrava ormeggiare all’orizzonte e che, altresì, faticò a realizzarsi compiutamente; quel mutamento di coscienza civile di cui Massimo D’Azeglio si era fatto portavoce, quando, all’indomani dell’unificazione territoriale, pronunciò le seguenti parole “Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”, un nodo che ancora oggi “ha da compiersi”.
Il contributo del prof. Donato Martiello, come è stato sottolineato nel dettagliato e squisitamente storiografico approccio del prof. Lucio Attorre, mira a scardinare le presunte certezze sul Risorgimento italiano, con particolare riguardo alla figura di Carmine Crocco, brigante accolto come un “Re liberatore” della patria, e della terra lucana, di Ninco Nanco e della sua donna, “a Pastora”, descritta da Carlo Levi in “Cristo si è fermato ad Eboli”, con l’immagine di donna “immacolata”, nonostante sia stata l’anima sanguigna e reazionaria del Brigantaggio. Levi ha evocato perfettamente un’immagine mitica ma parziale di un popolo lucano rude e gretto; ma è proprio in questa ruvidità che emerge lo “spirito primigenio” di una terra ricca di cultura e di civiltà.
L’autore del libro ha voluto lanciare un messaggio ai giovani, invitandoli a riappropriarsi del proprio passato, a non aver paura di imbrattarsi in una rivisitazione “scomoda” ma autentica del Risorgimento post-unitario. Quindi li sprona a guardare all’Europa, e ad agire “imbracciando il fucile, non per sparare, ma come arma della cultura, della democrazia e della libertà”, a sfatare il mito di un popolo “paziente” che aspetta inerme il cambiamento che non mai arriva, rifacendosi ad un discorso pronunciato dal prof. Lorenzo Del Boca, e a raccontare una “storia controcorrente” come quella narrata nel volume Maledetti Savoia. Di fronte al tragico bivio, se emigrare o restare in patria, riprendendo una celebre frase di Francesco Saverio Nitti, “o briganti o migranti”, Martiello invita i ragazzi a non abbandonare la propria terra e a lottare a denti stretti, non attraverso la forza bruta, bensì con l’agire dell’intelletto. L’esempio incalzante di una gioventù che deve guardare al futuro, senza rinnegare il passato, è Papa Francesco, il quale con l’espressione “Siate atleti di Cristo” ha spronato i ragazzi a non farsi espropriare il futuro, un compito ad essere “rivoluzionari veri”, conclude il prof. Martiello, che è il nocciolo della fede autentica.