Per chi non c’è stato e non l’ha vissuta è nota per ciò che ne hanno raccontato coloro che vissero quelle vicende. E i testimoni diretti ne raccontarono.
Era il partire magari da una esperienza di solitudine, con un “misto di fierezza guerriera e autoironia sulla stessa propria fierezza guerriera”, come raccontò Italo Calvino; o, come racconta il partigiano Johnny di Fenoglio, “non vedeva tanto la bovina, esangue faccia del Duce liberato da Skorzeny, ma la faccia di Pavolini e di molti altri come lui..immaginabili agevolmente, come tirabili a cliché”.. per cui “non sarebbe più sceso in città, pensava salendo alla collina, se lascerò quella collina sarà per salire su una più alta, nell’arcangelico regno dei partigiani”.
Per Bocca, partigiano piemontese e giornalista, la esperienza fu totalizzante tanto da sentirsi poi, per sempre, “partigiano della parola”. E poi Vittorini, Pavese. Di recente, In territorio nemico di Scrittura Industriale Collettiva, opera di 115 persone, riprende il racconto ricorrendo a pagine di testimonianze sulla Resistenza, attraverso le quali ricostruisce quella storia cercando di garantire una “ memoria collettiva”.
Dalla lettura di tutte queste molteplici narrazioni, abbiamo appreso e continuiamo ad apprendere, in tanti, quelle vicende, il buono di una guerra di resistenza contro il fascismo e i tedeschi, ed il brutto di una guerra civile, feroce, tra genti ed anime diverse di uno stesso paese, segnato da anni di dittatura fascista. E’ un tema che divide, quello della resistenza e degli anni che seguirono, improntati alla voglia di ricostruire? Si, se si chiede di dimenticare. No, se si pensa ai valori che hanno ricucito il nostro paese dopo quella esperienza ed hanno dato vita alla Costituzione ed alla Repubblica italiana protesa verso un’Europa pacificata. Il laico e socialista Sandro Pertini ricordava che a Regina Coeli erano detenuti, tra i politici, anche il prete cattolico Don Morosini e Leone Ginzburg, lo scrittore e studioso antifascista. Li vide con il volto tumefatto dalle percosse, le labbra spaccate, dopo gli interrogatori delle SS in via Tasso. “Non ho parlato”, disse Ginzburg, preoccupato, comunque soprattutto che nulla fosse dimenticato:“Guai a noi se domani sapremo dimenticare le nostre sofferenze, guai se della nostra condanna investiremo tutto il popolo tedesco. Dobbiamo distinguere tra il popolo e i nazisti. Se non sapremo farlo tutte le nostre sofferenze non saranno servite a nulla”.
L’Associazione “Francesco Saverio Nitti” di Melfi, come fa ogni anno, è tornata a far rivivere quelle istanze, culturali, politiche, ideali per ricordare il 25 aprile, collaborando con l’Istituto Comprensivo “Ferrara-Marattoli” e con i suoi studenti, per lo spettacolo Voci e suoni della Resistenza, che si ispira a testi e documenti storici, letti ed interpretati dai giovani attori. Essi hanno ridato voce a Marisa Ombra, a Sandro Pertini, a Francesco Saverio Nitti, alle vittime delle stragi nazifasciste. Presso la sede del Centro Culturale “Nitti”, alla Mostra documentaria, “Nitti Antifascista”, a cura degli allievi del progetto “Cultura in formazione”, ha fatto seguito l’incontro tra il pubblico e Marisa Ombra (Vice Presidente Nazionale ANPI) a colloquio con Stefano Rolando (Presidente Fondazione Nitti) che ha avuto come tema “Il 25 Aprile. Tra l’Inverno e la primavera della politica italiana. Il ruolo della memoria”.
La stessa Marisa Ombra ha portato, dunque, il suo contributo; giovanissima partigiana, accanto al papà operaio, addetta al ciclostile per la stampa dei volantini, poi staffetta; un ruolo che tante donne assunsero, tutt’altro che di secondo piano o facile, perché su di esse, nel loro solitario andare e venire, pesò tutta la responsabilità delle decisioni da prendere di fronte a qualunque imprevisto ed il rischio di essere scoperte e arrestate. Nacque da qui, raccontava Marisa Ombra, la consapevolezza della possibilità che la donna potesse a vere un destino diverso da quello di sposa e madre prolifica che il fascismo aveva esaltato; nacque da qui il senso della necessità del loro impegno nel sociale, nella politica, nelle professioni, che tanto avrebbe contribuito a cambiare il nostro paese.
Anche questa è una storia, anche questi sono valori che non possono essere dimenticati. I valori fanno le differenze. La misura del confronto e del dialogo si qualifica nel riconoscerli in sé e riproporli senza finzioni e timori.