Dopo una seconda raccolta di poesie, Paisano (1957), Michele Parrella sceglierà la via del silenzio fino al 1981.
Giulio Stolfi non pubblicherà più liriche mentre Mario Trufelli, come abbiamo visto, si ripiega verso toni sempre più intimistici. L’emigrazione sembra essere il tema privilegiato dalla letteratura tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60. Emigrazione che non risparmia gli stessi poeti: Parrella, Stolfi, Riviello, Contillo, Jacovino, Allamprese lasciano la Basilicata. La regione rimane dissanguata: <<Restano i ritratti e il cesto delle mele\a guardia delle case>> (M. Parrella).
La speranza e le illusioni dell’immediato dopoguerra hanno ormai lasciato spazio ad una poesia dai toni diversi: rinunciatari, raccolti, intimistici, crepuscolari quasi.
Uno stato generale di disinganno che può essere ben rappresentato dalla figura di Marco Varena, protagonista dell’omonimo romanzo scritto dal genzanese Pasquale Mainenti nel 1963. Marco Varena è uno studente universitario dalle idee socialiste che partecipa alle lotte politiche del periodo. Le speranze di rinnovamento di Marco si infrangono contro la realtà: egli diventerà prima bibliotecario a Potenza poi professore a Roma, morendo in miseria.
Dall’ansia di riscatto degli anni’50 si passerà ad un desiderio nostalgico del ritorno in Basilicata, ritorno non solo fisico ma anche simbolico. Si leggano a proposito questi versi del poeta Antonio Allamprese, che da Maschito emigra a Roma per lavoro:
<<E’ bella la mia terra\nel mese di novembre:\dietro le case bianche\ nei giardini di terra rossa\s’accendono i limoni\al vento di mare.>> (Luna lucana)
Spesso infine, questo vagheggiamento di valori tradizionali e di una civiltà incontaminata finiscono con lo scadere nel patetico o peggio ancora nel banale: è il caso di Cristo non si è fermato ad Eboli (1954) di Marino
Leogrande, che si propone di ribaltare il famoso romanzo leviano, il quale avrebbe, secondo l’autore, gettato discredito sulla nostra regione.
Più intelligente risulta invece E un altro Cristo (1966) di Vincenzo Jacovino, scritto sempre in opposizione a Carlo Levi, ma con l’intento meno qualunquistico di dimostrare che in Basilicata è presente un’altra cultura, quella contadina, che ha bisogno di essere integrata con quella italiana ed europea.
Entrambi i libri sono comunque significativi di un mutato clima culturale. Di lì a poco il ‘sessantotto’ sarebbe passato anche in Basilicata…