Gente distratta si affaccia, quest’anno, all’uscio di casa con la borsa un po’ più vuota e il portafogli sgonfio. Il Natale bussa alle porte dell’anima in tono più dimesso. Sarà per effetto della crisi o, peggio, per un senso di sfiducia e di prudenza che ammanta e pervade i consumatori tartassati, però, la festa che ci fa sentire tutti più buoni assume i contorni di un austerity day. Anche le vetrine lucane sono addobbate a festa. Dappertutto luminarie a giorno, suoni e canti natalizi. Luci ed ombre di una festività che, mai come in questa difficile congiuntura economica europea, suona persino anacronistica. C’è poco da stare allegri se, appena svoltato l’angolo, ci si rende conto che il nostro Babbo Natale non è diverso da quello romano. Accade anche in ambito politico, al Governo di un Paese (dei balocchi) che repentinamente inverte la rotta e s’incammina sulla strada del rigore. Riesce molto meno percorribile, invece, un identico cammino sugli impervi sentieri politici di Basilicata, dove tra scorciatoie devastate da torrenti in piena, s’impantana la via del cambiamento.
Si diceva del rigore ed è molto più di una semplice figura retorica. Da Potenza a Matera, si attende soltanto il fischio del direttore di gara. La punizione è stata già decretata. Il portiere è già pronto a seguire con gli occhi la traiettoria del pallone che l’attaccante designato, sedici metri più avanti, calcerà. Le note di cronaca, poi, ci racconteranno lo sviluppo di questa gustosa scenetta già vissuta come in una moviola figurata. Il calcio, metafora della vita con due uomini (il portiere e il giocatore che batte il calcio di rigore) che affidano il destino dell’azione stessa ad un pallone. Accade a Roma, al Governo, in uno dei momenti più difficili e bui della Repubblica, succede anche a Potenza, in via Anzio, alla Regione Basilicata, con una crisi che si preannuncia difficile da gestire e da superare. Nel caso romano conosciamo gli sviluppi della vicenda che ha portato alla creazione del nuovo esecutivo. Nel caso lucano, invece, si parla di un rimpasto, cioè di una soluzione mediata e meno traumatica, tirata fuori dai cappelli a cilindro delle stanze di partito, per evitare di cambiare. Il verbo, anche in questa circostanza, è allettante. Di quelli, cioè, che avvicinano alla cucina e alla prossima festività natalizia. Rimpastare sa, letteralmente, di mani in pasta (di casa e non) protese in un gesto che è finalizzato a soddisfare soprattutto la vista. Insomma, non si tratta dei soliti strascinati, quanto piuttosto di un attitudine conclamata a modificare e plasmare farina, uova e quant’altro capiti tra le mani, modificandone la forma ma non la sostanza.
La gente comune, intanto, arricchita nel cuore e nella vista, benché impoverita nelle tasche, si accinge a santificare il Natale con i classici espedienti dell’arte povera (leggi l’arte d’arrangiarsi). Improvvisamente ogni cosa diventa candida, anche la politica. Basta battere il petto un paio di volte e tutto scorre dissolvendosi come un fiocco di neve. Buon Natale e felice anno nuovo!