7 settembre
Il vento italiano che ha portato alla Mostra del Cinema di Venezia il successo di Emanuele Crialesee del maestro Ermanno Olmi cambia ora direzione e soffia via l’interesse per il nuovo film di Cristina Comencini, in concorso ufficiale con Quando la notte. L’accoglienza del film è stata infatti delle peggiori, tanto che perfino le scene pensate e raccontate con intento drammatico hanno suscitato ilarità e fastidio nel pubblico che, al termine della proiezione, non ha esitato a fischiare clamorosamente la regista che si proponeva di raccontare una storia di amore e di maternità, accompagnata dai protagonisti Claudia Pandolfi e Filippo Timi.
Ma se si spengono i riflettori sul cinema italiano in seguito a questo fragoroso insuccesso, rimane accesa invece l’attenzione sui film che si tingono di sfumature e di colori orientali. Sulla scia del capolavoro di Ann Hui e del giovane e altrettanto notevole Himizu di Sono Sion, continua infatti a soffiare il vento d’Oriente grazie a People Mountain People Sea di Cai Shangjun, opera che appare improvvisamente nel calendario delle proiezioni quale film a sorpresa di questa 68ma Mostra di Venezia (probabilmente per aggirare i vincoli di censura imposti dal governo cinese). People Mountain People Sea è infatti un film duro e nichilista che racconta la lotta di un uomo che si ribella, a suo modo, alle imposizioni sociali. Un film di denuncia, quindi, sebbene secondo alcuni critici la regia risenta della lentezza di una sceneggiatura ellittica costruita dallo stesso Shangjun. Non bisogna però dimenticare la natura dell’interesse per questo film: da quando alla 56ma edizione della Mostra di Venezia il Leone d’Oro fu assegnato al film denuncia Non uno di meno di Zhang Yimou, la Biennale non manca mai di aprire uno sguardo sul continente asiatico e sulle pellicole orientali quali strumenti di denuncia e manifesti di verità nascoste.
Tuttavia, nonostante il fascino orientale e l’impegno sociale, l’attenzione di questa giornata volge anche verso l’Occidente con l’arrivo in laguna del newyorkese Abel Ferrara, in concorso con il suo 4:44 Last Day on Earth. Il film racconta di un mondo giunto alla fine, dal momento che le previsioni catastrofistiche degli ambientalisti si sono ormai avverate con irreversibili risultati apocalittici. Che fare, dunque? Soltanto scegliere come prepararsi a questo evento finale dell’umanità. Eppure, in quel mondo agonizzante, l’ipertrofia mediatica non sembra trovare freni o rallentamenti ma anzi diventa veicolo delle azioni e delle decisioni degli uomini. La novità, rispetto alle precedenti pellicole del regista, è che in questo film la tensione e la durezza dei temi si alleggerisce così come le angosce interiori dei personaggi. Lo stesso protagonista, Cisco/Willem Dafoe, si rasserena e quel turbine religioso, peccaminoso e violento a cui Ferrara ci ha abituati quasi svanisce nello scenario apocalittico del film, come fosse il ricongiungimento di una dimensione atavica dell’uomo con un mondo ormai prossimo all’inferno. Successo in sala, comunque, per questa pellicola e senza troppe delusioni nonostante questa nuova “serenità” registica, forse perché ciò che resta intatto del cinema di Ferrara è, sempre e comunque, la capacità di ammaliare il suo pubblico.