Importanti monitoraggi scientifici attestano che sono quasi 3700 i comuni italiani a rischio idrogeologico. Per la precisione sono 1173 i comuni a rischio molto elevato e 2498 i comuni a rischio elevato. Rispetto agli oltre 8100 comuni italiani si tratta rispettivamente del 14,5% e del 30,8%.
Ma il fatto che i rischi siano stati riconosciuti e che per molte zone siano stati anche valutati con estrema precisione non ha frenato il verificarsi nel nostro Paese di sciagure di grandi proporzioni: catastrofi che difficilmente sono così frequenti nelle nazioni più civili.
In Italia, infatti, in barba al pericolo che si corre, si continua a disboscare, ad urbanizzare ipertroficamente, a deviare i fiumi indebolendone gli argini, ad incendiare i boschi per beceri interessi economici, a costruire dove non si potrebbe aggirando furbescamente le norme. La conseguenza è che pochi giorni di pioggia possono bastare a causare grandi catastrofi. Piogge che, tra l’altro, negli ultimi anni, sembrano divenire sempre più intense a causa dall’effetto serra che provoca il riscaldamento del pianeta, definendo un clima che anche da noi assomiglia sempre più a quello tropicale.
Citando il noto caso della catastrofe messinese, le stesse autorità competenti hanno parlato di disgrazia facilmente prevedibile e di dissesto idrogeologico non vincolato soltanto alle circostanze climatiche eccezionalmente negative. Il che vuol dire costruzione di edifici in punti pericolosi, a ridosso di colline o di corsi d’acqua che possono straripare, di materiali edilizi di scarsa qualità, di licenze mancanti o concesse senza rispettare le norme vigenti, di omissioni nei controlli, di colpevoli negligenze delle amministrazioni centrali e periferiche nella gestione dei fondi destinati alla prevenzione e alla messa in sicurezza del territorio. Un gran numero di libri, di documenti ufficiali, di articoli di giornale ci hanno fatto notare come l’edilizia sia diventata un grande business e come gli appalti siano spesso gestiti da associazioni criminali-mafiose attraverso i propri rappresentanti in politica. In un Paese che affronta una grave crisi economica, che impedisce a sempre più famiglie di arrivare alla fine del mese, avvenimenti come questi non possono far altro che esasperare l’ indignazione e il malcontento. In Italia sembra verificarsi una situazione analoga a quella del 1989 quando a Berlino un milione di persone stavano per abbattere pacificamente il muro, dalla Germania Est e dalla Germania Ovest, mentre una decina di Vopos, i poliziotti della Germania Est, gli ultimi ancora ignari della situazione, continuavano a presidiarlo. Per contrastare la mediocrità dell’attuale classe politica stanno nascendo movimenti di protesta quando non apertamente di antipolitica; ma bisogna stare attenti e distinguere caso per caso: in molti casi l’allontanamento dalla politica sembra preparare il terreno a un diffuso quanto pernicioso qualunquismo.
Infatti la politica, intesa come l’arte del buon governo, non è assolutamente una pratica da abbandonare. Solamente attraverso la buona politica e non con il ripiegamento nel privato sarà possibile affrontare e risolvere coralmente e con successo i tanti problemi comportati dal vivere insieme in una società. Esclusivamente mediante la buona politica si può riuscire ad affermare la solidarietà, la giustizia e l’uguaglianza delle opportunità che caratterizzano una democrazia matura e una società in cui è bello vivere. Bisogna sempre tenere a mente ciò che scrisse un giovane Karl Marx nel tema della sua maturità liceale: “il benessere e la felicità individuali possono essere raggiunti soltanto mediante il perseguimento dell’interesse generale”.