La Ola (Organizzazione lucana ambientalista) ha appreso che l’inceneritore Fenice effettuerà un non specificato fermo dell’impianto a partire dal 17 luglio 2011 fino alla fine di agosto. Ufficiosamente il fermo sarebbe stato motivato ai sindaci – che attualmente smaltiscono i propri rifiuti presso l’impianto EDF – per non meglio specificate “operazioni di manutenzione ordinaria”. L’organizzazione fa rilevare come, piuttosto che di “manutenzione ordinaria”, si debba parlare, invece, di ripristino delle condizioni di funzionamento dell’impianto, considerato che negli ultimi quattro anni ha continuato a funzionare e ad inquinare anche grazie ad un sistema illegale di proroghe e palleggiamenti tra società EDF-Fenice, Dipartimenti Ambiente della Regione Basilicata e Provincia di Potenza.
Al centro di questa contesa é lo slittamento oltre i limiti temporali previsti dalla legge dell’A.I.A. (Autorizzazione Integrata Ambientale) con l’applicazione delle conseguenti norme IPPC, oggetto di una recente sentenza della Corte di Giustizia Europea che coinvolgerebbe anche le dilazioni dei termini concesse tra l’altro a Fenice, proprio dalla Regione Basilicata, ben oltre i limiti fissati dalle Direttive Europee, in presenza di un conclamato grave stato di inquinamento. Fatto questo che avrebbe procurato allo Stato Italiano ed alla Regione Basilicata una sentenza di condanna della Corte di Giustizia Europea, proprio per l’incapacità di salvaguardare l’ambiente dall’inquinamento industriale. Su questo vorremmo essere smentiti dall’assessore Agatino Mancusi, di cui la Ola continua a chiederne le dimissioni, con argomentazioni e dati certi, chiarendo alle amministrazioni locali ed alle comunità del Vulture-Melfese in che cosa consisterebbero le “operazioni di manutenzione ordinaria” annunciate ai sindaci dalla società EDF-Fenice.
Il giorno 8 luglio si svolgerà a Lavello la manifestazione pubblica per chiedere la chiusura dell’inceneritore Fenice di San Nicola di Melfi organizzato dal Comitato Difesa della Salute di Lavello e dalla Ola. Il sistema di gestione dei rifiuti lucano è imperniato, per la quasi totalità, sulla presenza di discariche e dell’inceneritore, appunto.
Tale inceneritore è monitorato principalmente dalla stessa azienda che ne è proprietaria, cioè il controllato fa anche da controllore. I dati rilevati dal monitoraggio vengono poi trasmessi all’Arpab che procede (?) a controanalisi e li rende pubblici. E la constatazione di questo “sistema di monitoraggio” ha messo in allarme le organizzazioni e i comitati di zona, perché è emerso un evidente problema di inquinamento delle falde acquifere nei pressi dell’inceneritore. La Ola ha sempre chiesto e ribadito che fosse necessario uno stop dell’impianto per consentire una effettiva verifica dei problemi che affliggono lo stesso e per intervenire strutturalmente e risolverli. Il piano regionale così com’è fa acqua da tutte le parti ed è necessario non ridiscuterlo, bensì redigerne uno completamente nuovo e diverso incentrato principalmente su una raccolta differenziata che consenta di ridurre al minimo la quantità di rifiuti da conferire all’inceneritore o in discarica.
I comuni del Vulture, ogni anno, sostengono spese ingenti per mantenere in piedi questo scellerato sistema di gestione dei rifiuti, si arriva a tariffe di 160 euro per ogni tonnellata di rifiuti da smaltire, costi che ricadono inevitabilmente sui cittadini. Quindi sarebbe auspicabile che un’attenta raccolta differenziata consenta di recuperare quei rifiuti che possono essere rivenduti dai comuni ad aziende specializzate, ottenendo anche ottimi introiti a vantaggio dei cittadini. Ed arriviamo alla nota dolente: il sistema di controllo e monitoraggio dell’attività dell’inceneritore. Quello in essere non può assolutamente essere considerato valido e sufficiente.
È necessario procedere a controlli molto più serrati e indipendenti, oltre alla creazione di una rete adeguata per le rilevazioni con trasmissione in tempo reale di tutti i dati resi facilmente accessibili a tutti anche attraverso il web. Siamo di fronte ad una sfida enorme, cioè scardinare un “sistema” che non possiamo più accettare in maniera condiscendente, un “sistema” così ben radicato che è solo di qualche giorno fa la candida ammissione di un dirigente Arpab dell’esistenza, fino ad ora negata, di dati risalenti al periodo precedente al 2007, dati mai resi pubblici perché, a detta dello stesso dirigente, oggetto di una indagine della Procura di Potenza. Se a tutto questo aggiungiamo la notizia – da confermare – sulla chiusura dell’impianto, forse le nostre legittime richieste stanno facendo breccia in questo “sistema”?