Qualcuno un tempo affermava che il valore di una società dipende anche da come vengono trattate le donne e dall’immagine che di esse se ne ha. Come si giudica dunque un paese in cui non si fa che parlare di donne oggetto, di Ruby e di Nicole, di prostitute minorenni e di raccomandazioni, di “maschi che si accaniscono su un pezzo di carne femminile”?
Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Manuela Gieri, docente associato di Storia del Cinema presso l’Università degli Studi della Basilicata.
Alla luce delle manifestazioni e dei cortei tenutisi nelle piazze di tutta Italia in che modo si battono quotidianamente le donne che vogliono difendere la propria dignità e dimostrare di essere affidabili ed efficienti?
Io ritengo che le donne, tutte le donne, qualunque sia la loro estrazione, la loro cultura di appartenenza, si battono quotidianamente per la loro libertà, e libertà significa scegliere cosa fare di se stesse e del proprio corpo. La dignità, l’affidabilità, l’efficienza sono concetti altri, che appartengono a uomini e donne indifferentemente, e che impongono una discussione che in questo momento non mi appartiene e non mi interessa.
Nel suo percorso di affermazione di “donna in carriera” quali sono stati gli ostacoli che ha dovuto sormontare?
L’ostacolo più rilevante che qualsiasi donna deve affrontare è il pregiudizio che deriva dal suo stesso sesso, e cioè il fatto di essere donna, e dunque potenziale moglie e madre. Tradizionalmente, si chiede alla donna quello che non si chiederebbe mai a un uomo, mentre non le si chiede quello che normalmente si chiede a un uomo, e così via…
Si è mai sentita sottovalutata, mortificata o umiliata da questa società sempre tesa all’omofobia e al maschilismo?
No, mortificata e umiliata no. Forse sono stata fortunata. Certo, sottovalutata sì, indubbiamente… Anche perché spesso il mondo maschile, abituato a funzionare a regime unico e su un solo binario, tende a credere che così sia anche per le donne. Noi, invece, da sempre, siamo abituate a fare tante cose diverse, contemporaneamente. E molto spesso a farle anche proprio bene.
Sentiamo spesso parlare di “quote rosa”; non crede che questo sia un aspetto ancor più discriminante dell’universo femminile?
No, non lo credo. Quando ero giovane aborrivo il solo pensiero delle quote rosa, oggi non più. Si impara vivendo. Ho imparato che questo Paese ha ancora tanta strada da fare sulla via dell’uguaglianza, e non solo fra uomini e donne. Dunque, ben vengano le quote rosa per sanare situazioni di disuguaglianza e di palese discriminazione. D’altronde, in un Paese ove ancora non si registra un’adeguata politica della e per la famiglia, la donna che è figlia, sorella, moglie e madre non può che essere naturalmente discriminata. Il giorno in cui un governo del Paese si ponesse come obiettivo primario varare un’adeguata politica della famiglia che traghetti questo nostro sfortunato Paese nel XXI secolo, forse anche le quote rosa saranno obsolete… Finalmente!