Andrea Galgano, poeta e critico letterario, ha iniziato la presentazione del suo libro “Di là delle siepi. Leopardi e Pascoli, tra memoria e nido” nella sua città d’origine Potenza, tra le mura amiche.
Nella medesima città si è laureato in Lettere Moderne, con una tesi in letteratura italiana moderna e contemporanea.
Attualmente al Polo Psicodinamiche di Prato è docente di letteratura presso la scuola di Psicoterapia Erich Fromm. Per immergerci in quest’appassionante viaggio che l’autore ha fatto con questo saggio, gli ho posto alcune domande.
Com’è nato questo libro?
Il libro nasce dall’elaborazione della mia tesi di laurea della specialistica in letteratura italiana moderna e contemporanea. Come ogni lavoro, racchiude un azzardo e un rischio, non solo perché si confronta con due autori studiatissimi sui quali si potrebbero consultare intere biblioteche, ma perché essi ti costringono a prendere sul serio la tua esperienza. Il saggio condensa un lavoro di sette anni ed è un viaggio nella visio poetica che non lascia mai tranquilli.
Di cosa parla?
Di là delle siepi procede in parallelo, dal punto di vista filologico ed ermeneutico, sulle linee di questi due autori, come trascrizioni in parallelo e attraverso la testimonianza di una concezione dell’esistenza in cui il legame tra l’io e il mondo si immerge nei rapporti, con la natura e con la bellezza, con il sogno e con la vita, con la morte ed il dolore. Nella prefazione, Davide Rondoni, parla di amicizia. Essere “amico” di un poeta significa partecipare ai suoi processi interiori e comprenderne la mente e l’anima, percorrendo gli abissi e le alture del loro segreto e del loro mondo immaginale. C’è anzi nel percorso teorico e nell’esperienza poetica di Leopardi e di Pascoli un’apertura nei confronti del reale, in cui il punto di partenza è sempre l’esperienza sensoriale, attraverso la quale l’io si concepisce in azione, in rapporto con l’esterno, come scrive Irene Battaglini nel Preludio al testo: «La struttura del saggio è autoesplicativa: non si parla di vita e opera, ma di opera e vita, non si parla per dualismi, ma per correspondances, in un gioco di intersoggettività alla stregua di goethiane affinità del cuore e della mente».
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